Atlantide ***
Atlantide: una grande isola situata innanzi alle colonne d’Ercole. L’abitava un popolo forte e guerriero, che una volta era mosso all’invasione dell’Europa e dell’Asia, ma era stato ricacciato dai Greci comandati dagli Ateniesi, finché, poi, si era inabissato nel mare con tutta l’isola.
Il nuovo lungometraggio dell’artista e videomaker Yuri Ancarani è frutto di un lavoro di studio e osservazione lungo quattro anni nella comunità dei barchini di Sant’Erasmo, una piccola isola della laguna di Venezia.
Il protagonista è Daniele, un ragazzo biondissimo e smilzo, che conosciamo all’inizio mentre lavora nei campi, ed estirpare le piante prima della nuova semina, mentre i suoi coetanei sfrecciano sull’acqua sui loro barchini leggerissimi, a cui hanno accoppiato motori sempre più potenti.
Su una bricola in mezzo alla laguna hanno segnato i record di velocità.
Anche Daniele, che guida una bella barca azzurra chiamata Maila, in onore della sua ragazza, vorrebbe segnare il suo nome su quel palo.
Per farlo è disposto a tutto, persino a rubare un’elica nuova: si metterà così contro tutti e sarà emarginato dagli altri.
Dopo aver lasciato la sua ragazza e aver trascorso una notte di eccessi fatta di coca, sesso e sangue, senza mai scendere dal suo barchino, finirà per accettare una sfida fatale.
Il film si Ancarani è un caleidoscopio di immagini e colori di bellezza inarrivabile: il modo in cui le luci naturali e l’architettura si riflettono nell’acqua fanno da contraltare alle luci rosse e verdi dei barchini che solcano la notte al ritmo della musica techno sparata da casse troppo grandi.
L’estate infinita è fatta di tuffi ad una vecchia fermata del vaporetto, di salti da una gru, di sole che asciuga i corpi esili di una generazione senza idee e senza ideali, che vive nell’ossessione della propria barca di Caronte.
Il vuoto assoluto in cui vivono viene riempito di velocità, di ozio infinito, di sesso e desiderio, ma anche di spaccio di droga, di soldi facili, di violenza, in una spirale di degrado che solo il proprio barchino riesce ad arginare.
Ancarani trova momenti di bellezza estatica, filma albe e tramonti verso l’orizzonte infinito del mare, si abbassa poi al triviale delle grandi navi che solcano l’isola e alla trap che riempie le giornate dei suoi antieroi.
Sullo sfondo rimane il campanile di San Marco, Venezia con la sua unicità fragile.
Quando tuttavia la tragedia e il destino irrompono prepotentemente nella vita di Daniele e di quella piccola comunità ecco che qualcosa cambia radicalmente.
L’acqua sale, si prende le calli e invade la città quasi a piangere il dolore di una morte inutile.ù
Il finale è memorabile: la macchina da presa si ribalta di 180 gradi poi di 90, costruendo una realtà impossibile e astratta che sarebbe piaciuta all’Antonioni di Zabriskie Point: un piano sequenza infinito ci accompagna lungo ponti e rivoli della laguna in un viaggio impossibile che sembra sfidare ogni limite, fino a che il mare non si riprende tutto.
Lo sguardo di Ancarani si fa allucinato, costruisce architetture impossibili, cerca una bellezza che non è del nostro mondo.
Si rimane ammirati e travolti di fronte alla forza magmatica di questo epilogo.
Atlantide è cinema purissimo, travestito da indagine sociologica e antropologica, ma l’occhio di Ancarani è da sindrome di Stendhal e ci ricorda perchè sono ancora necessari i festival del cinema.