Old

Old **1/2

Il nuovo film di M.Night Shyamalan per la Universal è tratta dalla graphic novel Sandcaste di Pierre Oscar Levy e Frederik Peeters, edita in Italia da Coconino Press, e si intitola in modo molto più esplicito Old. 

Racconta l’arrivo su un isola tropicale di Guy e Prisca e dei loro figli Trent e Maddox.

Tra moglie e marito la convivenza è giunta al limite della rottura, proprio mentre a Prisca è stato diagnosticato un tumore benigno.

Il direttore del resort gli suggerisce un’escursione in una spiaggia solitaria e segreta.

Sul pulmino che li accompagna, anche un altro gruppo costituito dal Dott. Charles e dalla sua famiglia.

Successivamente anche l’infermiere Jarin con la moglie Patricia, che soffre di crisi epilettiche, arriveranno sulla spiaggia, in cui già trovano un rapper famoso, Mid-Size Sedan.

Quando, giocando sulla spiaggia, Trent trova il cadavere di una ragazza bionda misteriosamente annegata, sarà solo la prima di una serie di morti inspiegabili.

Abbandonare l’isola è impossibile, sia a piedi, sia a nuoto e pian piano i tredici ospiti si accorgono che in quello spazio il tempo si muove diversamente: trenta minuti equivalgono ad un anno di vita.

Come in una curiosa rivisitazione di Dieci piccoli indiani, gli ospiti della spiaggia arriveranno alla fine dei loro giorni, per morte naturale, per malattia, nel tentativo di fuggire o semplicemente per la violenza che scoppia all’interno del gruppo, quando ancora le dinamiche di quello spazio diabolico non sono del tutto chiare.

Intanto dall’alto qualcuno li sta osservando.

Come spesso accade nei film di Shyamalan la premessa iniziale è quella che muove drammaticamente il film: anche questa volta l’idea di uno spazio remoto e isolato in cui il tempo si muove secondo regole proprie è affascinante e suggestiva.

Il fatto che questa accelerazione provochi uno sconvolgimento nella vita dei personaggi è l’ingaggio che il cinema di Shyamalan cercava questa volta, per raccontare anche poeticamente una vita intera in un giorno o poco più. Con le sue violenze, le sue malattie, ma anche con le malinconie della vecchiaia e della condivisione, che qui vengono gestite in pochi minuti.

Shyamalan si prende il suo tempo sulla spiaggia, per rincorrere i tredici protagonisti nel loro disperato tentativo di trovare una soluzione, finchè non ne sarà rimasto solo uno. Anzi due.

La regia sembra voler mostrare enfaticamente il loro spaesamento, con focali corte, primi piani, zoom, panoramiche a schiaffo ed effetti che creano disorientamento anche nello spettatore.

E quando arriva alla fine il famoso Shyamalan Twist, ovvero il disvelamento dei motivi e degli interessi che si muovo dietro la gestione di quello spazio infernale, la soluzione è provocatoria e inquietante, anche se in tempi di sperimentazioni scientifiche e fiducia nella ricerca, la scelta del film appare piuttosto dissonante e discutibile.

Nonostante nei momenti migliori Old si proponga come una riflessione sulle paure legate alla crescita, all’invecchiamento e sull’amore dei genitori verso i propri figli, il film a cui Old curiosamente sembra avvicinarsi di più è tuttavia il primo Jurassic Park, con il suo monito verso i rischi della scienza, quando si incontra con una volontà di potenza incontrollabile.

Persino il finale con la fuga in elicottero evoca quello del film di Spielberg.

Nel film prevale la tensione del thriller piuttosto che le vibrazioni horror. Il cast, guidato da Gael Garcia Bernal e Vicky Krieps è indovinato, ma ordinario, nell’ambito di un film in cui la dimensione corale è quella che funziona meglio.

 

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