Cow **
Dopo Gunda, che Kossakovsky ha dedicato ad un piccolo maialino, ecco Cow, che racconta la vita di una mucca in una grande fattoria inglese.
Il film, girato quasi tutto con una camera a mano, ad altezza degli animali, come da una soggettiva impossibile di uno degli altri bovini, comincia con il parto del primo vitellino della mucca, marchiata con il numero 1129 e ci racconta il suo allattamento, poi la bruciatura delle corna, la montata del latte, che viene munto e trasformato, quindi il pascolo all’aria aperta, i rientri nella stalla. Una routine quotidiana non particolarmente cruenta.
Gli allevatori scelti dalla Arnold, pur avendo un stalla piuttosto grande e piuttosto sporca, a dir la verità, non sono dediti all’allevamento intensivo. Producono latte e non carne e già qui c’è una scelta di fondo, ma sembrano anche attenti a quello che viene chiamato “benessere animale”.
Tuttavia il suo film è piuttosto ordinario, diretto, costruito su un’osservazione lunga, che gioca sull’accumulo di immagini, situazioni, monte, poppate, nascite, pascoli, che si ripetono attraverso le stagioni, sino al momento della fine, quello sì secco e brutale, come si può immaginare.
Non c’è poesia nel racconto della Arnold, nè metafisica o umanizzazione degli animali. Non so se è il film che gli animalisti e gli attivisti vegani si sarebbero potuti attendere, perchè non c’è crudeltà, nè costrizioni cruente, nè mattatoi o sangue.
E’ un film lineare, semplice, che mostra solo il ciclo dell’allevamento: from the cradle to the grave, per dirlo all’inglese, questa volta dedicato ad un animale.
Solo che non scalda il cuore, non commuove, non indigna, non ha neppure la magia di quella nascita che Kechiche si prende il tempo di raccontare per intero, in Mektoub, My Love o quella della mucca di First Cow.
E anche Mouchette è lontanissimo.
Allora, questo Cow per chi è? Cosa ci vuole dire? E perchè?
Alla fine, più domande che risposte.