Too Old To Die Young: un’opera d’autore, con punte di eccellenza visiva, ma senza personaggi veri.

Too Old To Die Young ***

Too Old To Die Young non è un film e nemmeno una serie, ma nelle parole e nell’intenzione del suo autore, cioè Nicolas Winding Refn è semplicemente streaming. Sta quindi a voi decidere quanto e come immergervi in questo flusso e quanta parte delle tredici ore filmate guardare. Noi abbiamo interpretato l’opera come organismo più che come insieme di singole molecole: questo per spiegare la logica con cui è stata affrontata la recensione di un’espressione artistica certamente divisiva.

I dieci episodi presentano due nuclei narrativi principali: da un lato la storia di Martin (Miles Teller), un poliziotto immerso in una Los Angeles cupa e corrotta, sospeso tra appartenenza alle forze dell’ordine e contaminazione con una banda criminale, dall’altro lato invece c’è Jesus (Augusto Aguilera), erede di una famiglia a capo di un Cartello della droga. Jesus, per vendicare la morte della madre Magdalena, spara al collega di Martin e poi fugge, raggiungendo in Messico lo zio, Don Ricardo, da cui viene accolto e protetto: impara così a parlare spagnolo e rinuncia alla propria identità americana (non solo linguistica, ma anche culturale). Gli episodi successivi delineano un percorso in cui tra Jesus e Martin non c’è contatto, almeno diretto (le rispettive compagne si incontreranno ad una festa). Martin ha una storia con una ragazza di diciassette anni, Janey, il cui padre, un eccentrico milionario, non vede di buon occhio il rapporto della figlia con un poliziotto, che ha il doppio della sua età.

Nelle sue peregrinazioni attraverso la degradazione che hanno il sapore di una vera e propria discesa all’inferno, Martin conosce Viggo (John Hawkes), agente dell’FBI in pensione che svolge il ruolo di sicario per l’algida Diana (Jena Malone), profetessa New Age. Viggo si occupa esclusivamente di pedofili, stupratori e mostri di varia natura: non può che destare l’interesse di Martin, che decide quindi di aiutarlo nella sua attività. Nel frattempo Jesus si è sposato con Yaritza (Cristina Rodlo che abbiamo visto in The Terror), già infermiera dello zio ed ammaliante interprete dei tarocchi, che si crede personificazione della Sacerdotessa della Morte. Le storie parallele di Jesus e Martin vengono infine a contatto, in modo drammatico. Il poliziotto viene infatti torturato senza pietà quando Jesus scopre che è stato lui e non il collega ad aver ucciso l’amata madre.

Il tema dei tarocchi è rilevante nella narrazione, non solo perché ad esso si richiama esplicitamente ed a più riprese Yaritza – La sacerdotessa della morte, ma anche perché gli episodi hanno come titolo le figure presenti negli Arcani Maggiori. Gli Arcani Maggiori sono le carte che racchiudono i segreti più importanti dei Tarocchi e che si prestano ad una straordinaria varietà di letture. La visione senza l’accompagnamento delle carte che danno il titolo agli episodi rischia di perdere qualcosa della ricchezza simbolica del testo. Solo alla luce dei tarocchi si riesce ad esempio a capire al meglio un episodio come The world. La carta rappresenta il compimento, la conclusione, la gioia danzante del qui ed ora. Questo ci fornisce un’interpretazione del ballo di Diana che invece sembra apparentemente decontestualizzato e lo stesso vale per la sparatoria finale alla Casita. La violenza fa parte del mondo dei protagonisti e per loro rappresenta una forma di compimento, non è solo necessaria per sopravvivere, ma assume una valenza ricca di significati esistenziali.

Nell’episodio The Hanged Man siamo di fronte alla piena realizzazione visiva della carta: Martin Jones ha il corpo immobilizzato e deve accettare tutta la sofferenza che l’universo gli porta. Sembra quasi sottoporsi volontariamente alle torture e al sacrificio di sè, come fossero un processo di iniziazione o piuttosto di espiazione.

Questa carta piace molto a Yaritza (che ha deciso di farsela disegnare sul calcio della pistola): per lei assume anche un valore di rinascita, come la sua storia personale lascia intendere.

In generale è tutto il mondo che potremmo definire esoterico ad avere un ruolo rilevante nella vicenda, con una polarizzazione attorno alle figure di Yaritza e Diana. Polarizzazione che si esprime anche a livello visivo e non potrebbe essere diversamente con un regista come Refn. Yaritza si presenta come una bellezza latina, passionale e carnale, con un abbigliamento eccentrico e studiatamente kitsch. Non ha un titolo di studio né una professione, vive la sessualità in modo esplicito ed estremo. Al contrario Diana è una bellezza algida, senza sangue e con una sessualità ripiegata su se stessa (emblematica la scena della masturbazione guidata da un assistente elettronico). Inserita con apparente successo nella società americana, possiede un lavoro rispettabile nell’Ufficio del Procuratore.

Dietro le apparenti diversità ci sono anche punti di contatto tra le due donne: entrambe nascondono, in tutto o in parte, la propria missione salvatrice e godono del loro potere. Entrambe sembrano infatti disporre di poteri ancestrali e sono in contatto con qualcosa di superiore: Yaritza ritiene di essere l’incarnazione della Sacerdotessa della morte, mentre Diana invece è in contatto con “esseri” che le danno visioni e percezioni, anche se non sempre di facile interpretazione. Per l’una come per l’altra la violenza è al servizio della liberazione del mondo dai malvagi, con un’accettazione vitalistica del suo potere rigenerativo.

Yaritza sembra preoccupata soprattutto di liberare le donne dalla schiavitù sessuale dei maschi del Cartello, ma la portata della sua azione sembra spingersi oltre quando dichiara, nel decimo episodio, The world, che intende estirpare il male dal mondo. Diana vuole sfruttare la propria posizione nell’Ufficio del Procuratore, per combattere quei malvagi che la giustizia non riesce a punire.

Il finale lascia aperta la possibilità di una seconda stagione con i due personaggi femminili al centro degli sviluppi della vicenda, come dimostrano i numerosi riferimenti di Diana al fatto che “Lei si sta avvicinando”: riferimenti che restano senza seguito.

Un altro tema rilevante è quello del rapporto irrisolto con la madre che, in un modo o nell’altro coinvolge in modo significativo i protagonisti e che ritorna nella filmografia di Refn. La giovane ragazza di Martin, Janey (Nell Tiger Free) vive nel rimpianto della madre e di una relazione mai veramente affettiva. Certo riconduce i momenti migliori della propria vita agli anni passati insieme alla madre in Montana, ma è un ricordo che sembra idealizzato e filtrato dal tempo; Jesus è per lunga parte della serie solo Il figlio di Magdalena, madre-amante-dea, che rappresenta per lui un’ambigua stella polare; Viggo si avvicina in modo inesorabile alla morte con la sola preoccupazione di garantire cura ed assistenza alla madre: anche in questo caso, forse a causa della malattia della donna, il rapporto tra i due è privo di un reale contatto.

In tutti questi casi il rapporto madre-figlio è deprivato di elementi fondamentali, di ordine fisico o psicologico. Non se la passano molto meglio i padri, assenti o, come nel caso di Theo (William Baldwin), figure senza genitorialità: il padre di Janey è solo un bambino cresciuto e niente di più. Il suo senso protettivo nei confronti della figlia è tutto fuorché sano e realmente paterno: c’è qualcosa di malato, corrotto ed inappropriato nelle sue parole, nei suoi sguardi, nelle sue battute. Ma questo riguarda tutti i personaggi del mondo di Refn: che siano poliziotti o gangster rappresentano solo diverse sfumature e angolazioni del male che domina le relazioni umane.

Diffuso in tutto il cinema dell’autore è poi lo stretto connubio tra violenza e creazione. Nella violenza rientra anche il sesso, spesso estremo. Il rapporto tra Jesus e Yaritza acquisisce carica sessuale dopo che il giovane boss ha scaricato tutta la propria rabbia sul corpo inerme di Martin. Anche Janey finisce con l’eccitarsi quando si sveglia in un letto pieno di sangue per la ferita di Martin che si è riaperta durante la notte.

Sesso, violenza e sangue dunque.

Il cinema di Refn attinge alla violenza come musa a cui ispirarsi: essa rispecchia per il regista danese una componente intrinseca nelle relazioni umane ed è sempre pronta ad affiorare. Secondo i protagonisti di Too Old To Die Young la violenza non va rimossa o accantonata, ma piuttosto assecondata e fatta emergere perché corrisponde ad una necessità sociale oltre che antropologica.

L’estetica della serie è unica, un’esperienza fortemente autoriale, frutto del lavoro di un team di grandi professionisti. I sontuosi movimenti di macchina, sospesi tra lentezza estenuante ed accelerazioni improvvise; la fotografia diretta da Darius Khondji (Seven e molto altro) e Diego Garcia (Wildlife) con i suoi tagli metafisici di luce in interni cupi, i colori psichedelici e al neon che definiscono e alludono spezzando il buio della notte; la musica di Cliff Martinez (The Neon Demon, Traffic) sospesa tra tonalità melò ed electric shock: uno stile davvero inimitabile.

Se dovessimo utilizzare una metafora potremmo dire che l’autore è desideroso di dipingere più che di scrivere e questo in un’opera di tredici ore ha un impatto non sempre sostenibile. La sceneggiatura, realizzata con la collaborazione di Ed Brubaker (fumettista molto noto e collaboratore di Westworld), non manca di spunti brillanti, ma la dilatazione dei tempi di visione tende a spegnerli e a depotenziarli. Non è solo una questione di ritmo, ma anche di sviluppo dei personaggi, la cui ieraticità e mono-dimensionalità si adattano perfettamente ad una inquadratura stilisticamente perfetta, ma non ad una narrazione così lunga. I rapporti e le relazioni restano sempre ad uno stato superficiale, senza alcuna analisi evolutiva dei protagonisti. Quello che può stupire è l’azione, ma mai l’emozione che è spesso assente in una visione del mondo che tende a scarnificare la ricchezza del singolo, riducendolo ad una maschera.

E’ un rischio che si corre quando si ha a che fare con un autore onnisciente, intendendo con questo non una qualche forma di superiorità o dispotismo (che non c’è, basti pensare alla libertà creativa lasciata gli attori), ma ad un autore in cui una visione del mondo sostituisce la ricchezza di visioni che ha il mondo.

Non l’abbiamo amato, ma di certo l’abbiamo ammirato; consigliamo di vederlo, ma forse ha ragione lo stesso NWR quando lascia intendere che, prima di impiegare tredici ore della propria vita nella visione di un prodotto di intrattenimento, è bene capire se davvero è quello che vogliamo vedere in questo momento.

Titolo originale: Too Old To Die Young
Numero degli episodi: 10

Durata media ad episodio: 80 minuti
Distribuzione streaming: Amazon Prime Video

CONSIGLIATO: A chi ama Refn ed il suo cinema: per entrare nel mondo di questa serie ci vuole la capacità di accettare e di sposare il passo lento di una narrazione altamente simbolica, intrisa di esoterismo e di silenzi, in cui la violenza genere bellezza, i dialoghi sono rarefatti e i de-tour surreali.

SCONSIGLIATO: A quanti ritengono che l’aspetto narrativo valga quanto quello visivo. Ogni episodio di TOTDY, tranne l’ultimo, presenta inoltre una durata superiore all’ora e la visione richiede una grande disponibilità di tempo e una discreta dose di impegno verso un linguaggio filmico duro che sembra voler allontanare lo spettatore più che avvincerlo.

VISIONI PARALLELE:

Data la particolarità dell’opera è naturale richiamare in questa sezione la filmografia di Nicolas Winding Refn con particolare riferimento a due film, peraltro piuttosto diversi tra loro e cioè Drive (2011) e Solo Dio perdona (2013). Rimandiamo alle recensioni per un maggior dettaglio, ma riteniamo i due film, diversi per molti aspetti, ugualmente importanti come chiavi di accesso al mondo del regista. Consigliamo Drive a quanti avrebbero voluto un atteggiamento meno respingente verso lo spettatore, con maggiore sintesi e coerenza narrativa; Solo Dio perdona è invece un’opera molto più travagliata (per lo spettatore si intende) che permette di ritornare sul rapporto madre-figlio ed apprezzare tutta la libertà espressiva a cui NWR non ha mai voluto rinunciare.

UN’IMMAGINE: Di fronte alla domanda su cosa pensasse del Messico, Jesus risponde in modo imprevisto: “Il Messico è il futuro. Qui non ci sono leggi, ognuno fa quello che deve per sopravvivere”.

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