Drive

Drive ***1/2

Nelle mie pellicole c’è quello che vorrei vedere, di cui sono fanatico ammiratore. Non sono un regista politico, non mi interessa il messaggio, quanto piuttosto l’emozione.

Nicolas Winding Refn, 2011

In occasione dell’uscita in blu-ray di Drive di Nicolas Winding Refn, è opportuno ritornare su quello che è stato uno dei film più discussi e controversi dell’annata cinematografica.

Fin dalla sua apparizione al Festival di Cannes, a fine maggio, Drive ha subito diviso critici e pubblico, tra cinefili entusiasti, che hanno trovato la conferma definitiva di uno status autoriale e di culto e detrattori, che vi hanno ritrovato i vezzi e la superficialità di quei fenomeni da festival, sconosciuti al pubblico delle sale.

In effetti Refn è stato a lungo confinato dalla nostra miope distribuzione italiana a regista di nicchia, noto solo ai pochissimi fortunati che l’hanno potuto scoprire a Venezia o a Torino, dove TFF gli ha dedicato una retrospettiva integrale nel 2009.

Solo nell’imminenza di questo suo secondo film americano sono stati lanciati, senza crederci molto, i precedenti Bronson (2008) e Valhalla Rising (2009).

Il capofila dei detrattori, Paolo Mereghetti ha scritto che Drive è solo una storia di genere con qualche vezzo d’autore e spruzzi improvvisi di violenza belluina (che fanno sempre molto «contemporaneo»), contando sul fatto che in pochi riconoscano i tanti debiti che la regia ha accumulato. 1

Invitando quindi i suoi lettori a non scambiare un simpatico (e furbesco) prodotto di routine per una perla rara da premiare.

Diversamente, gli entusiasti hanno sottolineato la felicità narrativa unita ad uno spirito naif, che non affonda nella cinefilia postmoderna e citazionista, ma che ritorna al cinema delle strade violente e della cultura pop degli anni ’80, come un atto di amore totale, senza distanze autoriali. 2

Ed è forse proprio questa insistita inattualità, questa decostruzione progressiva del noir da parte di un regista che conosce perfettamente i suoi codici, ad aver spinto Thierry Fremaux a lanciare Drive a Cannes nel concorso principale.

Certo, non siamo ancora di fronte ad un percorso autoriale chiaramente identificabile: troppo diversi i suoi film, soprattutto gli ultimi tre, ma anche la commedia Bleeder ha poco da spartire con la trilogia iperviolenta di Pusher.

Drive nasce come progetto di Ryan Gosling per il regista Neil Marshall. Refn arriva solo in un secondo momento e lavora con lo sceneggiatore iraniano Hossein Amini, per riportare nel copione alcuni elementi presenti nel romanzo di James Sallis: il regista danese ci tiene a mostrare l’attività di stuntman del driver protagonista.

Impossibile infatti raccontare Los Angeles senza la presenza ingombrante del cinema. Cinema che si materializza non solo nell’attività del protagonista, ma anche nei luoghi dell’azione, che richiamano un’immaginario molto preciso, tra highway, canali e panorami notturni. E non è un caso se un altro protagonista, il boss Bernie Rose, dichiara di essere stato un produttore, negli anni ’80, di film d’azione e sexy.

Drive è un film di solitudini rumorose, è la storia di un driver imprendibile, che si divide tra i set cinematografici di Los Angeles e le rapine: la sua straordinaria abilita’ al volante è una qualità preziosissima e molto richiesta. Assieme all’amico Shannon, lavora in un garage, aspettando il prossimo contratto.

E’ un uomo di pochissime parole e dal passato misterioso. E’ una sorta di supereroe secondo Refn, che ha creato per lui un costume unico, con uno scorpione cucito sul bomber: quasi a voler chiarire sin da subito la sua vera identità.

Lo vediamo in azione però solo all’inizio, sul set e sulla strada. Poi entrano in gioco altri personaggi ed il film cambia pelle: Shannon chiede un prestito al mafioso Bernie ed al suo tirapiedi Nino, per mettere in piedi una scuderia da corsa, capace d sfruttare le abilita’ del pilota.

Tutto sembra andare per il verso giusto, ma l’incontro con Irene, una silenziosa vicina di casa e con il suo bambino, Benicio, fara’ prepicitare le cose in una spirale di ricatti e vendette senza fine. Il film abbandona l’azione pura per farsi melò notturno, sulle note di A real hero dei College.

Il marito di Irene, Standard, esce infatti improvvisamente dal carcere, ma e’ in debito con la malavita locale e deve mettere a segno una rapina per pagare i suoi conti. Il pilota si offre di dargli una mano, per evitare che Irene e Benicio siano coinvolti.  Ma non tutto va per il verso giusto e la violenza prendera’ il sopravvento.

Winding Refn compie il miracolo di dare nuova vita al thriller metropolitano, su cui Michael Mann sembrava aver detto gia’ tutto con Heat e Collateral. Crea una serie di personaggi memorabili, non solo con il pilota senza nome e Irene, ma con un gruppo di caratteristi  favoloso, capace di rendere credibile anche un copione gia’ visto molte volte.

Ad una prima parte di studio dei caratteri, tutta impressionista e silenziosa, Refn ne accosta una seconda, che fa dell’iperrealismo e della dilatazione temporale una cifra del tutto personale. La forma è sostanza nel cinema di genere e qui Refn non teme nulla: sottopone i suoi personaggi ad una stilizzazione assoluta e si può permettere persino un rallenty super romantico in ascensore, prima di un pestaggio brutale e devastante, che segna da un lato l’impossibilità di un sentimento, dall’altro l’ineluttabilità della fine.

La violenza di Drive e’ senza scampo: si muore con il cervello che scoppia in mille pezzi, si muore dissanguati con le braccia squarciate, si muore con una forchetta in un occhio e con le coltellate rabbiose di un boss, a cui tutto sembra sfuggito di mano.

Come gia’ in Valhalla Rising, Refn usa gli effetti sonori in maniera stupefacente, come volesse far sentire davvero al pubblico in sala, tutto l’orrore di quei colpi, di quelle urla, di quei motori che rombano nella notte. La colonna sonora elettronica in puro stile eighties di Cliff Martinez, sembra un omaggio ai polizieschi di Friedkin e Ferrara.

Los Angeles e’ il landscape ideale per il cinema maschio e romantico di Refn: nelle ombre rischiarate dalle luci di una citta’ che non dorme mai, puo’ annegare il dolore dei suoi personaggi che non vogliono molto, se non vivere una tranquillita’ senza rimpianti e trovare un posto nel mondo.

Winding Refn si affida ai due migliori giovani attori di hollywood, Ryan Gosling e Carey Mulligan, entrambi straordinari e capaci di rendere meravigliosamente significativi i loro sguardi silenziosi. Albert Brooks e’ un boss dal sorriso placido e vendicativo e Ron Perlman, un braccio destro, a cui il copione regala le battute migliori.

Drive e’ finalmente un’opera di genere, che non si vergogna di esserlo, che non ha bisogno di strizzate d’occhio citazioniste e ironia, ma che lavora sull’emozione della vita.

E’ il film di un innamorato che ci chiede solo di sederci in sala, per goderci lo spettacolo.

1. Paolo Mereghetti, Drive, Corriere della Sera 28.9.2011, ma cfr. anche Alberto Pezzotta, Che bello è nato un nuovo autore, Duellanti n.73

2. Cfr. Pier Maria Bocchi, Drive, Cineforum n.505 e Andrea Bellavita, Drive, Segnocinema n.172

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