Dopo l’esperimento in chiaroscuro di Snowpiercer, che ha portato Bong Joon ho a lavorare e scontrarsi con Harvey Weinstein ad Hollywood, il regista coreano ci riprova, questa volta grazie al gigante dello streaming Netflix, che non ha badato a spese, per assecondare la sua straordinaria fantasia, in quella che, a tutti gli effetti, è una bellissima favola ecologista e anti-capitalista.
Il film è stato la pietra dello scandalo al Festival di Cannes, il primo ammesso in concorso, senza una distribuzione nelle sale francesi.
L’apparizione del logo Netflix è stata accolta alla proiezione stampa da una selva di fischi: il pubblico del Palais ha già individuato il villain di questa edizione.
Eppure le qualità cinematografiche del lavoro di Bong meriterebbero davvero un passaggio nei cinema: l’illuminazione di Darius Khondji, la composizione del quadro in un cinemascope capace di abbracciare i sogni di una piccola ragazzina coreana e del suo improbabile amico a quattro zampe, e il ritmo grande e maestoso della messa in scena, sono quanto di più lontano si possa immaginare da un prodotto televisivo.
Il film racconta la storia di un curioso esperimento posto in essere dalla Mirando, una multinazionale con molti interessi, gestita ancora dagli eredi del terribile fondatore.
L’ultima CEO, Lucy, sta cercando di cambiare il volto della società, mostrandosi sensibile all’ambiente e coniugando le necessità industriali ad un nuovo modello di sviluppo sostenibile.
In una conferenza stampa spettacolare, Lucy annuncia al mondo che – in seguito alla miracolosa scoperta in Cile di una particolare razza di maiali giganti – la Mirando ha organizzato un concorso lungo dieci anni, assegnando questi animali a 26 allevatori sparsi per il mondo, con l’obiettivo di scegliere il migliore, dopo un lungo svezzamento.
In realtà si tratta solo di bieco marketing: la specie è stata selezionata geneticamente, dopo lunghi e mostruosi esperimenti e la taglia gigante promette di arricchire la società ancora di più.
Eppure uno dei grandi animali, quello affidato ad un allevatore coreano e alla sua nipotina Mija, sembra particolarmente intelligente. Tra l’enorme mammifero, chiamato Okja, e la piccola ragazzina, orfana dei genitori, si è creato un rapporto del tutto speciale.
Quando dopo dieci anni è giunto il momento di trasportare Okja a New York, per la premiazione del concorso – e per farlo diventare carne da macello per succose bistecche e filetti – Mija si ribella ai propositi della Mirando e trova un inatteso alleato nell’Animal Liberation Front, un gruppo di vegani piuttosto sgangherati e velleitari, guidati dal risoluto Jay.
L’ALF vuole rapire Okja e farne un’esca, per svelare l’orrendo allevamento intensivo già in atto presso la multinazionale. Le avventure di Mija e Okja sono appena cominciate…
Con lo stesso spirito anti-sistema che già animava Snowpiercer, appesantendolo di un marxismo fuori tempo massimo, Bong Joon Ho questa volta costruisce una favola assai più lieve, eppure risoluta, con poche cadute di tono e un racconto che segue sapientemente il viaggio di Mija a Seul e poi a New York sulle tracce di Okja.
Se la prima parte bucolica è quella in fondo più riuscita, per felicità espressiva, senso dello stupore e sincera tenerezza, quella successiva, ambientata a New York, che segue le lotte interne alla Mirando, è un po’ troppo pasticciata, nel tentativo di essere esemplare e politica assieme.
Nel complesso tuttavia il film ha una sua grazia, assomigliando in fondo proprio al corpo del suo protagonista: grande e grosso nelle intenzioni, ma capace di muoversi con insospettabile leggerezza.
La metafora di Okja si può estendere in fondo anche alla Netflix nella sua interezza: nonostante si tratti di un progetto nato in laboratorio, che modifica geneticamente il cinema come l’abbiamo conosciuto nell’ultimo secolo, ci si può anche affezionare.
Tutti gli attori recitano con toni fumettistici: Tilda Swinton si ritaglia un doppio ruolo in cui eccellere, sia pure apparendo sullo schermo per pochissimi minuti. Debole e fastidiosamente sopra le righe invece il personaggio interpretato da Jake Gyllenhaal, l’esploratore televisivo, mentre Paul Dano, nei panni del capo degli animalisti e’ come sempre impeccabile e lunare. Ma la sorpresa e’ la giovanissima An Seo Hyun, volto che trasmette tutta la determinazione e l’innocenza necessari al ruolo.
Film spielberghiano per eccellenza, eppure perfettamente coerente con il cinema del suo autore, almeno da The Host in poi, Okja è un’opera in cui l’infanzia si fa carico di responsabilità e compiti che i più grandi sembrano aver dimenticato, chiusi nel loro mondo di opposizioni radicali: non mi stupirei se Okja diventasse un manifesto intelligentemente animalista.
Perche’ pur con qualche caduta di tono, l’onestà dei suoi intenti e la genuinità delle sue ragioni, non possono che colpire.
Il finale in particolare, ambientato in una sorta di macello lager, spezza il cuore e non si dimentica facilmente.
CREDITS
BONG Joon Ho – Director
BONG Joon Ho – Script / Dialogue
Jon RONSON – Script / Dialogue
Darius KHONDJI – Cinematography
Yang JINMO – Film Editor
CASTING
Tilda SWINTON – Lucy Mirando
Paul DANO – Jay
AN Seo Hyun – Mija
BYUN Heebong – Heebong
Steven YEUN – K
Lily COLLINS – Red
YOON Je Moon – Mundo Park
Shirley HENDERSON – Jennifer
Daniel HENSHALL – Blond
Devon BOSTICK – Silver
Giancarlo ESPOSITO – Frank Dawson
Jake GYLLENHAAL – Dr Johnny Wilcox