Behemoth ***1/2
Il documentarista cinese Zhao Liang ci regala, proprio in extremis, uno dei film più limpidi e necessari del concorso di Venezia 72. Uno di quelli che confermano il valore insostituibile dei festival di cinema, la loro missione di ricerca e valorizzazione.
Con una ridottissima troupe di sole 4 persone Zhao si è messo in cammino verso la Mongolia, per descrivere come il progresso e la speculazione abbiano mutato non solo i confini del paesaggio naturale cinese, ma la vita stessa dei suoi abitanti.
Il regista ha preso a prestito esplicitamente il mostro biblico del Behemoth, una creatura capace di divorare i frutti di mille montagne, e molte suggestioni dantesche, ricostruendo un mondo diviso in tre parti: l’inferno della miniera e del fuoco che forgia l’acciaio, il purgatorio della polvere nera sollevata da scavatori e carri che trasportano quello che resta di un promontorio raso al suolo e il ‘paradiso’ artificiale e spettrale della città fantasma di Ordos, costruita e abbandonata, avvolta nei colori pastello e nel blu infinito di un cielo, che assiste immutabile al disastro degli uomini.
Zhao costruisce grandi quadri in movimento, scende nelle viscere della terra e sale verso l’alto, osserva i volti degli uomini corrosi dalla fatica e dalla polvere, con uno sguardo limpido, non compromesso, mai ricattatorio.
Non sembra esserci più spazio per l’uomo in questo mondo letteralmente corroso da un modello di sviluppo compulsivo e inesorabile: la fatica è impari, disumana.
Realtà e sogno si alternano drammaticamente, immagini spezzate e ricomposte, come riflesse da un prisma, introducono i vari capitoli del film, uno dei più lirici e potenti tra quelli che, da Still Life in avanti, hanno raccontato le trasformazioni culturali, paesaggistiche e antropologiche della nuova Cina.
Nessuno in questa mostra era riuscito a regalarci, con tale precisione ed economia di mezzi, la descrizione di un mondo in disfacimento: politico e allegorico al tempo stesso, Behemoth sedimenta nella memoria e non ti abbandona facilmente, con il suo equilibrio impossibile tra orrore e bellezza, tra una distanza necessaria a comprendere ed una prossimità umanissima e partecipe.
Da non perdere.