Cannes 2014. Leviathan

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Leviathan ****

Andrey Zvyagintsev è uno dei giovani maestri del cinema europeo. Il suo è un cinema profondamente morale, erede ideale del rigore di Bresson, Dreyer, Kieslowski.

I suoi racconti assumono sempre la forza dell’apologo, capace di parlare a tutti.

La sua opera prima, Il ritorno, rarefatto e misterioso racconto di formazione, ha vinto il Leone d’Oro a Venezia; con The Banishment, in cui volontà e destino si prendono gioco di una coppia di amanti, sino ad annientarli, si è aggiudicato il premio per il miglior interprete a Cannes.

Con Elena, forse il suo capolavoro, ha vinto il premio speciale della giuria ad Un certain regard, raccontando la crudele mediocrità di una generazione assetata di denaro e disposta a tutto, per non perdere i propri privilegi.

Zvyagintsev torna al concorso principale del Festival di Cannes, con Leviathan, un racconto di straordinaria forza drammatica che lascia letteralmente senza fiato.

Kolia e’ un uomo onesto.

Fa il meccanico in un piccolo paese sul Baltico. La prima moglie e’ morta lasciandolo con un figlio adolescente, Roma. La nuova compagna, Lilya, lavora nella fabbrica locale. Abitano una casa che si affaccia direttamente sul mare.

Il sindaco Vadim ha deciso pero’ di espropriare le proprieta’ di Kolia per una nuova speculazione edilizia.

Un vecchio amico del protagonista, Dimitri, che fa l’avvocato a Mosca, viene in suo soccorso.

La causa purtroppo e’ perduta, ma Dimitri ha raccolto un dossier compromettente sul sindaco, che intende usare, per strappare un accordo piu’ favorevole sulla compensazione monetaria delle espropriazioni.

Il sindaco e’ avvertito del dossier e si riserva qualche giorno per rifletterci: e’ con le spalle al muro e il suo potere e’ a rischio. Si confronta con l’autorita’ religiosa, che sembra conoscere bene i suoi segreti.

Nel frattempo, Kolia, Lilya e Dimitri, assime a Roma e ad un gruppo di amici, che lavorano nella polizia locale, partono per un weekend insieme.

La scoperta di un tradimento inaspettato sara’ per Kolia solo l’inizio di una parabola dolorosa e tragica.

Il film di Andrey Zvyagintsev e’ un altro limpidissimo ritratto di un’umanita’ perduta, in cui ogni cosa ha perso significato.

Anche giustizia e liberta’ che tutti amano citare, sono diventate solo un simulacro che il potere utilizza per continuare a mantenere una fiammella di speranza.

Invano.

Leviathan richiama esplicitamente il Libro di Giobbe – l’uomo giusto piegato dalla sofferenza, che invoca Dio per conoscere il motivo di tanto dolore.

Cosi’ come nel precedente Elena, anche qui siamo di fronte a personaggi che hanno perso ogni coordinata morale.

Anche gli amici piu’ cari tradiscono Kolia. Nessuno gli crede, tantomeno la macchina infernale della giustizia.

Le due lunghe e glaciali sequenze in Tribunale tolgono il fiato per la sottile e implacabile ferocia e per l’assenza di qualsiasi umanita’.

Nessuno gli puo’ dare conforto, tantomeno le autorita’ religiose, corrotte e ipocrite.

Rispetto alla messa in scena rigorosissima e asfissiante de Il ritorno e di Elena, in questo Leviathan, Zvyagintsev si concede anche molti momenti di pura commedia, almeno nella prima parte.

Sarebbe facile raccontare che il regista russo continua a descrivere il disorientamento del proprio paese, la sua corruzione, il suo individualismo immorale, la crudelta’ delle sue istituzioni spersonalizzanti, ma sarebbe limitativo.

Leviathan parla a tutti, e’ una parabola che non consente esclusioni. Zvyagintsev va alle radici del male e mostra la sua logica implacabile, la sua determinazione.

L’elemento umano ha perso qualsiasi significato, di fronte al grande affresco del destino.

Restano solo le parole vuote di una messa per le autorita’ e la desolazione ed il silenzio che avvolgono un paesaggio ancestrale, spazzato dal vento e dalle onde del mare, mentre la carcassa di una balena sembra ricordarci l’eternita’ della nostra condanna, di fronte ad una Natura attonita e inconsapevole.

Giobbe e’ ancora qui. Le sue domande sono ancora le nostre.

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