Bastardi senza gloria – Inglourious Basterds

 

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 “Quello che racconto in Bastardi senza gloria è pura fantasia. Ma la cosa importante è: poteva succedere? La chiave di tutto sta nel verosimile. Anche quando inventi.

 Penso che il cinema possa cambiare i destini del mondo. Mi piaceva l’idea di questa metafora, ma mi piaceva di più poterla letteralmente mettere in atto. Ecco perché i miei protagonisti usano il cinema contro il Terzo Reich!

 Io mi ritengo soprattutto uno scrittore e non amo scrivere come fanno tutti gli altri sceneggiatori: preferisco prima cimentarmi nell’ideazione dei personaggi e poi adattare a loro la storia che avevo in mente. Sono stati i miei personaggi che hanno scritto la propria storia, non io.

 Io non mi considero un cineasta americano. Si, sono americano, ma faccio cinema per il mondo.

 Quentin Tarantino, 2009

 Quentin Tarantino è da sempre considerato l’enfant prodige del cinema americano.

La leggenda del giovane commesso del Video Archives di Sepulveda Boulevard a Los Angeles, aiutato da Lawrence Bender, Monte Hellman e Harvey Keitel a girare in cinque settimane il folgorante Le iene, è ormai parte della storia del cinema americano.

La Palma d’oro conquistata a trent’anni, grazie alla lungimiranza di Clint Eastwood, con l’epocale Pulp Fiction l’ha lanciato contemporaneamente nell’olimpo degli autori e ne ha fatto il regista più cool del momento.

Sono seguite opere più controverse, a partire da Jackie Brown, ovvero la ricerca di uno stile più classico – quasi fosse il suo personale L’orgoglio degli Amberson – passando per il doppio folgorante omaggio al cinema d’azione giapponese ed al wuxia cinese di Kill Bill ed approdando all’incompreso divertissement ad alta concentrazione teorica di Grindhouse.

Di nuovo in concorso, a Cannes viene presentato l’ultimo Inglourious Basterds, che deve il suo titolo ad un oscuro film italiano di Enzo Castellari, che nulla ha a che vedere con il film di Tarantino, ma suona indubbiamente perfetto, per la sua felicissima incursione nella Seconda Guerra Mondiale.

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Once upon a time, in nazi-occupied France…

Così comincia il primo dei cinque capitoli in cui è suddiviso il film, che racconta in parallelo di un doppio tentativo di uccidere Hitler, Goebbels ed i più importanti gerarchi nazisti, da parte della squadra speciale americana dei Basterds, capitanati dal tenente  Aldo Raine – l’Apache (Brad Pitt) e da parte di una giovane ragazza ebrea, Shosanna (Mélanie Laurent), proprietaria di un cinema a Parigi, presso cui si proietterà l’anteprima di L’orgoglio della nazione, un film di propaganda nazista, a cui sono stati invitati tutti i massimi rappresentanti del regime.

Il protagonista e l’interprete del film nel film è il giovane eroe di guerra Frederick Zoeller (Daniel Bruhl), che da solo, rifugiatosi su un campanile in Italia, è riuscito a sterminare e mettere in fuga un’armata di duecento soldati alleati.

L’orgoglio della nazione racconta la sua impresa e ne farà probabilmente un divo del regime, ma Zoeller sembra essersi innamorato della proprietaria del piccolo cinema parigino, ignorando le origini ebree di Shosanna, unica sopravvissuta allo sterminio della propria famiglia nel 1941.

Nel frattempo il colonnello Hans Landa, interpretato da un diabolico Christoph Waltz, dà sfoggio della sua straordinaria abilità, scovando gli ebrei nascosti in Francia e scoprendo le spie e i doppiogiochisti.

E’ proprio lui il responsabile dello sterminio della famiglia di Shosanna, nascosta nella campagna francese: il film si apre con l’interrogatorio di monsieur Lapadite, condotto in francese ed in inglese dal colonnello Landa, alla ricerca della famiglia ebrea dei Dreyfus, verosimilmente nascosta nella fattoria.

La straordinaria bellezza dei dialoghi si unisce all’interpretazione sublime di Waltz, chiarendo sin dall’inizio che non siamo di fronte all’ennesimo film d’azione sulla Seconda Guerra Mondiale, ma in pieno territorio Tarantino, dove l’astuzia, l’intelligenza, la sottile persuasione retorica sono il centro di un racconto fantastico, che reinventa la storia e la piega ad un romanzo di vendetta, tradimenti e onore.

Così come Philip Roth ne Il complotto contro l’America, qui il regista di Knoxville inventa una realtà alternativa, perfettamente plausibile, nella convinzione sublime che l’arte non possa rifare la realtà, ma possa – e debba – rifare l’arte: bastarda, meticcia che non teme di confondersi col mercato… né con l’ideologia spettacolare.[1]

Tarantino ci aveva abituato a mettere in discussione l’irreversibilità del tempo.

Nel suo capolavoro, Pulp Fiction, la costruzione temporale si era rovesciata, i personaggi potevano morire in un capitolo e risorgere in quello successivo: Inglourious Basterds è ancora più radicale nel mettere in crisi la narrazione realista, trasportando personaggi storici ed eventi notissimi in un universo parallelo.

Questo è un film sulle possibilità della Storia, sulle occasioni imperdibili fornite dal caso, come afferma Landa nell’ultimo confronto con Raine, un film sull’assoluta purezza delle storie narrate dal cinema, sul loro equilibrio, la loro moralità, la loro giustizia, sulla bellezza delle immagini, capaci talvolta di ribaltare le ideologie.[2]

E’ allora plausibile che Hitler, Goebbels e gli altri gerarchi nazisti si ritrovino tutti una sera in un piccolo cinema di Parigi, esposti alla vendetta incrociata degli alleati angloamericani e di una giovane ebrea, traditi da un colonnello troppo astuto per non capire la grandezza di un piano imperfetto, eppure possibile.

Sgombriamo subito il campo: Basterds è un capolavoro di purissimo cinema, pieno di straordinari duelli verbali in quattro lingue, interpretato superbamente da Christoph Waltz nella parte del Colonnello Landa – il cacciatore di ebrei, che ruba la scena a tutto il sontuoso cast e che giustamente la giuria di Cannes ha voluto onorare con il premio di miglior attore.

Basterebbe anche solo il momento in cui Landa, nel primo interrogatorio del film, estrae la sua enorme pipa à la Sherlock Holmes, per comprendere la vertigine del testo e la finezza dell’interpretazione di Waltz.

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In Inglourious basterds ci sono tutti i temi forti del cinema di Tarantino, ultimo vero auteur visionario, interprete di una società in cui non ci sono più limiti né proibizioni, ed in cui tutto è possibile.

Accusato ultimamente, dopo Kill Bill ed il progetto Grindhouse, di rivolgere il suo amore incondizionato verso un cinema di genere, scarsamente significativo, che pochi ricordano e che a meno ancora interessa riesumare, qui Tarantino si prende una rivincita clamorosa, guardando a modelli altissimi: dal cinema espressionista degli anni’20 a Pabst, dalla Riefenstahl a John Ford e Howard Hawks, da Duello al sole a Chaplin e Max Linder.

La sua cultura enciclopedica prende a prestito momenti, immagini, sensazioni di altri, senza alcuna vergogna: eppure bisognerebbe comprendere che il lavoro godardiano di Tarantino sui generi è sempre straordinario.

Le citazioni provocatorie e le dichiarazioni d’amore per il cinema di serie B non ingannino: il suo atteggiamento privo di snob verso la cultura di massa non deve essere scambiato per un’adesione acritica verso quelle pratiche, ma come parte di un lavoro sulle fonti, capace di rubare buone idee, quasi da qualunque film.

Anche qui il richiamo al trascurabile film di Castellari e le dichiarazioni di Eli Roth sullo studio dei film di Bombolo e Lino Banfi, per la caratterizzazione dei tre finti italiani, al galà de L’orgoglio della nazione, sono solo l’ennesima provocazione in cui molti finiscono per cadere.

Si consideri, in proposito, la straordinaria colonna sonora del film.

Dopo aver ricevuto il rifiuto di Ennio Morricone a comporre musiche originali per Inglourious basterds, già impegnato in quelle – peraltro orribili – di Baaria, Tarantino ha deciso di utilizzare con straordinaria sapienza tutta una serie di brani composti dal musicista romano, per altri film del passato, da Un dollaro bucato a La battaglia di Algeri, sino ad Allonsafan, aggiungendo poi musiche di Tiomkin, di Schifrin, di Bernstein, classici tedeschi degli anni ’30 e persino Cat people di Bowie e Moroder.

Il risultato è stato come sempre spiazzante e sensazionale al contempo.

Se, come sosteneva Tarkovskij, i registi si dividono in due grandi categorie – coloro che porgono uno specchio alla natura e coloro che creano un proprio universo personale – non c’è dubbio che Tarantino sia uno dei più straordinari inventori di mondi immaginari e iperrealistici, che affondano le proprie radici nel cinema stesso, nei suoi generi, nei suoi attori anche dimenticati, nei suoi modi di produzione e parallelamente nei modi del grande romanzo americano, per la costruzione drammatica dei personaggi, vero motore delle sue storie.

L’unico tocco di verità in Inglourious basterds è la lingua parlata dai protagonisti: ognuno, giustamente, usa la propria, i sottotitoli si incaricano di rendere comprensibili le parti in tedesco e francese.

Ma anche qui Tarantino non cerca il realismo, quanto la moralità della visione ed il rispetto del suo pubblico.

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Il film segue in parallelo il colonnello Landa, Shosanna e le imprese dei Basterds, che si avvalgono di tecniche persuasive diverse, fondate sull’uso delle mazze da baseball, più che sull’arguzia retorica.

La naiveté degli americani e la loro spavalda superficialità sono parte del gioco di Tarantino, che da cittadino del mondo-cinema, fa dire alla sua protagonista, noi qui in Francia i registi li rispettiamo, con una nota giustamente polemica verso i modi di produzione d’oltreoceano.

Prima del finale sconvolgente tra le fiamme, ci sarà spazio per un nuovo incontro di Shosanna con Landa, per una strage nella taverna Louisiana, piena di nazisti veri e spie travestite e per la preparazione dell’Operazione Kino, che avrà il suo fulcro nel piccolo cinema parigino.

Dire di più sarebbe sbagliato, per un film che va assaporato lentamente e goduto in tutte le sue sfumature, come un Dom Perignon del ‘55.

E pure sbagliato sarebbe continuare il solito gioco delle citazioni e dei rimandi cinematografici, semplicemente perchè per Tarantino questo non è il tentativo di omaggiare antichi maestri ed onesti artigiani, ma semplicemente l’unico modo di fare il “suo” cinema.

Un cinema che si nutre di altre immagini, in cui i prestiti sono infiniti, ma finiscono per perdere la propria natura, integrandosi perfettamente nel tessuto narrativo.

La capacità straordinaria di Tarantino è quella di vivificare un immaginario cinematografico spesso usurato, logoro, dimenticato o semplicemente marginale, creando un universo del tutto originale, capace di riaffermare ancora una volta la forza del cinema e la sua magnifica illusione di poter contribuire – se non a cambiare i destini del mondo – almeno a creare un patrimonio culturale comune, in sintonia con i nostri tempi.

E allora lunga vita a Quantin Tarantino:  per lui valgono le ultime parole del film, pronunciate da Brad Pitt, dopo un’incisione sanguinaria, sulla fronte del nemico.

I think this just might be my masterpiece.

 Bastardi senza gloria – Inglourious Basterds ***1/2

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[1] Alberto Morsiani, Pulp Fiction, Lindau, 2008

[2] Emanuela Martini, Inglourious basterds, Cineforum n.485

24 pensieri riguardo “Bastardi senza gloria – Inglourious Basterds”

  1. Ha ragione Clooney, ovviamente, ma il Pulp è finito quindici anni fa (se mai era cominciato) e già Jackie Brown era una svolta.
    Quanto alla presunta morale, mi sembra che tu abbia preso un abbaglio piuttosto evidente…
    M.

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