Cannes 2023. The Goldman Case

The Goldman Case ***

Formidabile racconto processuale e affresco storico e politico severo e potente, The Goldman Case racconta il secondo processo intentato nel 1976 a Pierre Goldman, dalal Corte d’Assiste di Amiens, dopo che la prima condanna all’ergastolo era stata annullata dalla Cassazione francese.

Goldman, figlio di due ebrei polacchi eroi della resistenza francese, era stato un militante radicale per tutti gli anni ’60. Personalità prorompente e psicologicamente disturbata, incapace di replicare la dimensione resistenziale dei suoi genitori, aveva combattuto a Cuba e in Venezuela, con la guerriglia del Che, aveva fatto il Maggio francese e poi, disilluso dalla fine dei suoi ideali, si manteneva con le rapine e la piccola criminalità.

Secondo l’accusa nel dicembre 1969 aveva ucciso due farmaciste, al culmine di una serie di altri colpi. Arrestato, riconosciuto dai superstiti, aveva subito riconosciuto la propria colpevolezza per tutti gli episodi, tranne che per quello conclusosi con il duplice omicidio.

Il film si apre con un incontro tra i due suoi avvocati: Goldman stupidamente vuole revocarne uno, ma nel confronto tra i due difensori e dalle lettere che ha scritto ad entrambi cominciamo a comprendere la natura problematica del carattere di Goldman.

Entriamo quindi nell’aula della Corta d’Assiste e non ne usciremo che con la lettura della sentenza nell’aprile del 1976.

Il film di Kahn, scritto con Nathalie Hertzberg, è costruito tutto sul meccanismo implacabile e teatrale del processo.

L’interrogatorio dei testimoni, il ruolo delle parti civili, del pubblico ministero e dei difensori, lo stesso Goldman che interviene in continuazione, ma anche i poliziotti che l’hanno arrestato e poi riconosciuto, i militanti nel pubblico che parteggiano per lui.

L’aula ribolle ed evidentemente il sistema giudiziario francese dell’epoca è assai meno ordinato del nostro e di quello anglosassone, che abbiamo visto codificato in moltissimi film. Qui non c’è l’esame e il controesame, il Presidente della Corte non è solo spettatore, ma dirige in prima persona il processo, l’imputato può intervenire in ogni momento, persino dal pubblico possono alzarsi voci a contrasto delle testimonianze, il confronto dialettico è assai meno imbrigliato in formalismi e può essere realmente aspro e diretto.

Questo rende il film di Kahn molto efficace, incalzante, incapace di un solo momento di tregua. La battaglia giudiziale è tanto più radicale perchè l’imputato anche contro i suggerimenti dei suoi avvocati, ne vuole fare un processo politico, contro la polizia che ne ha fatto il capro espiatorio perfetto e contro le istituzioni francesi, che Goldman ha sempre combattuto.

Interpretato da un formidabile Arieh Worthalter, Goldman ha una durezza nello sguardo e nei tratti fisici che a stento trattengono la rabbia repressa e la tensione esplosiva di un uomo complesso e di un guerrigliero che nell’onestà della propria parola ha l’unica sua arma. Goldman ne fa una questione di principio. Ha confessato le sue colpe e vuole essere creduto. E’ un uomo sconfitto dalla storia e vuole almeno l’onore delle armi.

Eppure il film non sarebbe ugualmente efficace se attorno a lui non ruotassero un coro di personaggi formidabili, testimoni, avvocati, poliziotti, compagni, a cui il film regala il proscenio come il banco del processo.

Il principio giudiziario secondo cui la Corte aveva il diritto di indagare pienamente la personalità dell’indagato, la vita passata, le predisposizioni d’animo, la amicizie, le esperienze e le influenze, consente al film di ricostruire la storia di Goldman per intero, senza flashback e artifici cinematografici, rimanendo sempre alle parole, ai gesti e agli sguardi di tutti quelli presenti in aula.

Il film è capace di rievocare le tensioni politiche e sociali di quegli anni in modo indubbiamente efficace, solo attraverso lo scontro dialettico tra i protagonisti. Chiuso nell’aula e in un formato stretto che tuttavia è adattissimo alle necessità dello spazio angusto e affollatissimo della Corte, The Goldman Case conferma la particolare attenzione del cinema francese al genere processuale, che qui non è solo mostrato con grande rigore analitico, ma anche con la capacità di lasciar trasparire la realtà storica senza semplificazioni.

Da non perdere.

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