Gli amanti di Dark si sentiranno a casa fin dalle prime inquadrature di questa nuova serie tedesca realizzata da Baran bo Odar, che ne è anche il regista, e Jantje Friese. Autori che fanno sentire in modo distintivo (e divisivo) la propria voce, nel solco della loro precedente produzione, che ha sorpreso, affascinato e fatto discutere gli spettatori di Netflix dal 2017 al 2020.
Questa volta non ci troviamo nella campagna tedesca, nei pressi di una centrale nucleare, ma siamo su di una nave diretta negli Stati Uniti. I protagonisti stanno affrontando la navigazione con la speranza di lasciarsi alle spalle il passato; una speranza che accomuna sia i signori che in prima classe dormano in camere finemente decorate, sia i poveri che stanno ammassati e letteralmente segregati sotto coperta. La sensazione è di essere di fronte a una babele di lingue e di culture accomunate da una fragile speranza di futuro migliore. I due personaggi con cui negoziamo ed empatizziamo con più frequenza fin dai primi episodi sono: Il capitano della nave, Eyk Larsen (Andreas Pietschmann già ‘Lo straniero’ in Dark) che da quando ha perso la moglie e le figlie in un incendio non sembra più lo stesso e, a detta dei suoi collaboratori, non prende più una decisione giusta, forse anche per la dipendenza dall’alcol; la giovane Dr.ssa. Maura Franklin (Emily Beecham), brillante studiosa della mente umana, che cerca notizie del fratello disperso sul Prometheus, una nave della stessa compagnia di cui non si hanno più notizie da diversi mesi. Della misteriosa sparizione parlano, tra sussurri e mezze frasi, anche gli altri passeggeri della nave: una coppia di sposi francesi alla ricerca dell’intimità e dell’intesa, due fratelli spagnoli, di cui uno dei due è un prete, ma che sembrano nascondere qualcosa, così come una signora orientale con la figlia che veste in stile giapponese, ma parla in cantonese.
E’ evidente come tutti i passeggeri e i membri dell’equipaggio nascondono segreti e ferite del passato: ci appaiono come personaggi tormentati, divisi, combattuti tra il rimorso per qualcosa che è successo, e che scopriremo episodio dopo episodio, e la speranza di poter essere persone migliori nel futuro che li attende. E’ in questo contesto che giunge un messaggio misterioso, proprio dal Prometheus, che spinge il capitano a fare una deviazione per cercare di soccorrere gli eventuali superstiti. Trovata la nave alla deriva, essa però appare deserta, fatta eccezione per un bambino, chiuso in una credenza, che viene salvato e portato a bordo della Kerberos. Una serie di eventi misteriosi e il reiterato silenzio del piccolo portano molti passeggeri a sospettare che il bambino sia la causa principale della tragedia e che sia necessario ucciderlo per evitare di finire allo stesso modo dei passeggeri del Prometheus. Un vero e proprio ammutinamento destituisce quindi il capitano e riporta la nave sulla rotta per gli Stati Uniti. Mentre sulla nave si scatena una vera e propria rivolta, gli eventi misteriosi non sembrano esaurirsi e si diffonde tra i protagonisti la domanda che ritorna con insistenza nel sesto episodio, The Pyramid:”Tutto questo è reale?”.
Difficile dirlo. Quello che appare chiaro allo spettatore è che deve lasciarsi andare senza cercare di ottenere subito tutte le risposte. Sotto questo aspetto Dark ha svolto un ruolo importante: come i suoi predecessori illustri, tra cui Lost, ha contribuito ad elevare la soglia di disponibilità richiesta allo spettatore, letteralmente annichilito nel suo desiderio di dominio del mondo narrativo. Il mondo narrato sfugge ad ogni forma di riduzione e di controllo, aprendosi ad una molteplicità di interpretazioni e di possibilità che solo una struttura aperta e circolare può descrivere senza smarrire il centro narrativo.
Come in Dark il tempo è qui piegato su se stesso, stirato e compresso secondo le necessità; a differenza della prima serie di Bo Odar e Friese viene però introdotto da subito un elemento di misura e cioè la mente umana. Se in Dark la mente doveva sforzarsi di capire, di decifrare, di risolvere; qui deve sforzarsi di ricordare, rivivere, connettere: la soluzione è dentro la mente dei protagonisti e del Creatore in particolare. Almeno questo sembra per gran parte della stagione, fino al finale che capovolge, come prevedibile, molte delle nostre supposizioni. Dark inoltre puntava molto sul tema della famiglia: la comunità era soprattutto un insieme di famiglie; anche qui la famiglia svolge un ruolo importante, soprattutto quella ultrareligiosa di Iben (Maria Erwolter) e quella misteriosa di Maura; più accentuata è invece l’enfasi sui comportamenti della massa/folla e sulle dinamiche di potere.
Simile a Dark è anche il passaggio da un registro narrativo all’altro a distanza di poche inquadrature: si va dal thriller all’horror, dalla fantascienza alla realtà distopica con una spruzzata di melodramma e di dramma romantico che allenta la tensione. La suspense è continua, una corda tesa al limite, enfatizzata dalla colonna sonora che accompagna e sottolinea i momenti salienti o li introduce con il crepitio di una lampada, il cigolio del legno o lo sciabordio delle onde. Le canzoni sono state utilizzate per lo più in chiusura dei singoli episodi, come collante a una carrellata che presenta i singoli protagonisti della vicenda: una scelta raffinata che spazia da White Rabbit cantata dai Jefferson Airplane a Child in time dei Deep Purple. Ogni episodio non fa che incrementare la tensione e affastellare le domande, fino al finale che, anche se non può e non intende dare soluzione a tutte le questioni che si sono sommate, offre comunque delle risposte importanti per decifrare quanto avvenuto. A differenza di Dark, gli enigmi sembrano meno fini a se stessi e meno impenetrabili. E’ importane tener presente che il ritmo della narrazione resta sempre alto, con continui colpi di scena e ribaltamenti della prospettiva.
I temi sviluppati sono ricchi di spunti: si va dalla difficile comunicazione tra le persone (espressa anche verbalmente dall’utilizzo di più lingue, come si evince dalla versione originale), alla complessità dei ricordi e più in generale del funzionamento del nostro cervello, dalla sete di conoscenza ai limiti della tecnologia e della scienza. C’è poi il costante riferimento al dolore portato dal desiderio di conoscenza. Temi che vengono per molti aspetti racchiusi dal mito platonico della caverna, riletto in chiave distopica. Insomma c’è davvero tanta carne al fuoco e, come spesso accade in questi casi, il rischio è di scadere nell’approssimazione o nella superficialità. Un rischio che la scrittura riesce ad evitare, utilizzando uno stile colto e ricco di rimandi letterari e cinematografici. Particolarmente rilevante sono i richiami alla cultura greca, non solo nel già citato mito di cui parla Platone ne La repubblica, ma anche nel nome delle navi: Prometheus e Kerberos e poi in modo rilevante nell’episodio quinto, The calling, che richiama il canto delle sirene. In questo episodio i passeggeri, in tranche al richiamo di un suono misterioso, si gettano in mare: come i marinai di Ulisse, per resistere al richiamo delle sirene si chiudono le orecchie con la cera , allo stesso modo i passeggeri della nave si legano nelle rispettive stanze per non cedere al richiamo, potente e misterioso, che sta muovendo gli altri passeggeri.
Come in poche altre visioni è necessario compiere una scelta di campo: o andiamo avanti, affidandoci con pazienza (tanta) e incoscienza (un po’ perché ormai dovremmo esserci abituati) al flusso narrativo o ci fermiamo e chiudiamo precocemente quella che si presenta come una visione tutt’altro che rilassante o defaticante.
Noi abbiamo scelto di andare avanti e non ce ne siamo affatto pentiti.
TITOLO ORIGINALE: 1899
DURATA MEDIA DEGLI EPISODI: 55 minuti
NUMERO DEGLI EPISODI: 8
DISTRIBUZIONE STREAMING: Netflix
GENERE: Horror Drama Sci Fi
CONSIGLIATO: a quanti amano le storie complesse e i flussi immersivi, senza paura di perdersi in un mondo narrativo in cui niente è come appare.
SCONSIGLIATO: a quanti cercano una visione confortevole e razionale, in cui tutto è coerente e realistico.
VISIONI PARALLELE: come ampiamente ricordato nella recensione il rimando principale non può che essere a Dark. Vorrei però consigliare anche il libro ‘Il risveglio’ di Kate Chopin che compare in diverse inquadrature. Il testo, considerato rilevante a livello storico per essere stato uno dei primi romanzi femministi, ha diversi contatti con la serie (ad esempio l’ambientazione marina), ma soprattutto racconta la ricerca della propria identità da parte di una donna forte che vuole essere se stessa prima di tutto (e di tutti). Nella protagonista molti ritroveranno il piglio e la determinazione di Maura.
UN’IMMAGINE: ci sono diverse immagini che restano nella mente, iconiche e folgoranti, ma in una serie come questa le parole hanno un peso specifico e quindi condivido quelle del padre di Maura, Henry Singleton (Anton Lesser) a lungo identificato come il cattivo che muove i fili dietro le quinte, il creatore del mondo in cui la storia è ambientata. Parlando alla figlia, nell’ottavo episodio, The key, sintetizza al meglio il tratto comune ai protagonisti della seriedicendo: “In questo mondo c’è chi cerca e chi evita. Quelli che evitano sono felici. Quelli che cercano, invece, trovano solo dolore. Aprono tutte le porte, entrano nelle cavità più oscure, spinti da quell’urgenza di acquisire conoscenza. Al contrario di tuo fratello, tu sei una cercatrice nata.”