Il signore delle formiche

Il signore delle formiche **1/2

Nel nuovo film di Gianni Amelio dedicato al caso Braibanti e al processo per plagio che gli fu intentato dalla Procura di Roma alla fine degli anni ’60, per aver sottomesso alla sua volontà, in senso fisico e psicologico, un suo giovane studente e amico, c’è ancora una volta il rapporto d’attrazione tra due diverse generazioni, c’è la magia dell’incontro intellettuale, della condivisione di sentimenti e conoscenze.

Aldo Braibanti  che aveva fatto la resistenza a Firenze era un intellettuale, uno scrittore e commediografo omosessuale, che a partire dal 1947 nel torrione Farnese di Castell’Arquato aveva inaugurato un laboratorio artistico, che aveva raccolto attorno a lui molti giovani curiosi della libertà di quell’esperienza.

Qui nel film conosce Ettore, un giovane piacentino, studioso di medicina che vorrebbe invece dipingere e uscire dalla cappa conformistica di una famiglia bigotta e religiosa.

Quando Braibanti si trasferisce a Roma, alla pensione Adua, affacciata sulla Piramide Cestia, decide di accompagnarlo e di condividere con lui arte e vita, troncando ogni rapporto con la madre e il fratello.

Una mattina tuttavia questi ultimi fanno irruzione nella stanza di Aldo e trascinano via Ettore, ricoverandolo in una casa di cura, dove l’elettroshock lo ridurrà ad una larva.

Nel frattempo Braibanti è costretto ad affrontare un processo la cui legittimità non riconosce e che, attraverso l’imputazione per plagio, intende colpire la sua omosessualità, i suoi costumi, le sue scelte sentimentali e affettive, ancora considerate una devianza da curare.

Il pregiudizio esplicito della corte si scontra con i silenzi di Braibanti e con l’ottusità dei suoi avvocati.

A difenderlo davvero solo un giovane giornalista, Ennio Scribani, e sua cugina, che cercherà col suo attivismo di muovere un’opinione pubblica, anche quella progressista, disinteressata a prendere le parti di un “pederasta”.

Il film di Amelio comincia in media res ad una festa di partito di metà anni ’60 in cui Ennio osserva “il signore delle formiche”, il mirmecologo Aldo Braibanti con Ettore, quindi torna indietro raccontando l’incontro dei due amanti a Castell’Arquato nel 1959, infine con un nuovo salto ci trasporta al 1968, al processo in Corte d’Assise a Roma.

Amelio ha raccontato di aver accettato di dirigere il film su sollecitazione del produttore Beppe Caschetto e di Marco Bellocchio, facendo propria una storia che conosceva bene, trasportandola in territori prossimi al suo cinema e facendola sua.

Braibanti fu il primo e unico ad essere condannato per il reato previsto dall’art. 603 del codice penale, prima che fosse dichiarato incostituzionale nel 1981.

Come sempre attori non professionisti – tra cui si distingue il bravissimo Leonardo Maltese – recitano accanto ad altri notissimi come Lo Cascio, Germano e la Serraiocco, che incarna un personaggio che richiama esplicitamente Emma Bonino.  Tra di loro si instaura un dialogo fecondo, che mette in crisi positivamente le troppe certezze degli interpreti professionisti, secondo un metodo che Amelio ha adottato sin dai tempi di Colpire al cuore.

Tuttavia il film, scritto con gli esordienti Edoardo Petti e Federico Fava, non riesce mai davvero rompere il muro dell’emozione: la sceneggiatura è troppo didascalica ed ellittica, il melò, come spesso accade nei film di Amelio è sempre trattenuto, ed anche i protagonisti sembrano fare di tutto per allontanarsi dagli spettatori.

Ma questo è un rischio che Amelio stesso ha compreso perfettamente, mettendo in bocca al personaggio di Elio Germano gli stessi dubbi nel suo primo incontro con Braibanti, dietro le sbarre.

Accolto in modo piuttosto controverso alla proiezione stampa mattutina della Mostra di Venezia, come non accadeva ad un film di Amelio da oltre vent’anni, Il signore delle formiche in realtà mi pare che si muova in territori piuttosto lineari, incapaci di alimentare le polemiche, che pure sono continuate in conferenza stampa.

Se il suo film ha un limite è proprio quello di essere sin troppo esplicito, incapace di mistero, privo di ombre sui suoi personaggi. Non ci sono scosse e palpiti e lo spazio per letture che non siano immediatamente evidenti è minimo.

Da un regista come Amelio, che ha sempre lavorato per trovare l’inconsueto nel noto, per ribaltare pregiudizi e letture consolidate, ci saremmo attesi un lavoro meno corretto e piano, ci saremmo attesi il tentativo di sublimare la ricostruzione storica mettendone in crisi le linee di lettura più ovvie.

Sono trascorsi 54 anni dalla vergognosa condanna di Braibanti e fortunatamente, il Paese a cui questo film si rivolge non è più quello di allora, nonostante resistano sedimenti omofobi e oscurantisti. Amelio però alla dimensione politica preferisce quella intima, personale.

Il signore delle formiche allora va forse preso per quello che davvero intende essere: il racconto di una storia d’amore struggente e sfortunata, travolta dalla follia degli uomini.

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