Pagan Peak: un thriller pregevole che ci racconta le paure della nostra società.

Pagan Peak ***

Il cadavere di un uomo nudo con una coda di cavallo in mano viene rinvenuto tra la neve, in un passo di montagna al confine tra Germania ed Austria. Il commissario Winter (Nicholas Ofczarek) della polizia austriaca sintetizza la situazione alla collega tedesca, l’ispettrice Stocker (Julia Jemtsch): “Uno di noi ha la testa, l’altro il culo”. Il ritrovamento di altri cadaveri composti secondo lo stesso rituale lascia intendere che l’omicidio sia opera di un serial killer che uccide le vittime indossando una mascherato da Krampus. Nella tradizione tedesca il Krampus è un essere demoniaco dalle sembianza animalesche che accompagna San Nicola elargendo punizioni ai bambini che si sono comportati male. I due detective sono quindi chiamati a collaborare con la costituzione di una squadra speciale, mentre aumenta l’interesse dell’opinione pubblica per la vicenda: in particolare il giornalista Charles Turek (Lucas Gregorowicz) sembra disposto a tutto pur di sfruttare gli omicidi per accrescere la propria fama.

Durante le indagini i due detective sono alle prese con situazioni personali complicate: la Stocker deve affrontare lo scandalo suscitato dalla relazione che intrattiene con il suo capo, Claas, mentre Winter è tormentato dai favori fatti in passato ad un gruppo di malviventi che non riesce ad allontanare dalla propria vita. In generale la collaborazione tra i due non è semplice. Winter è infatti un uomo di città, professionalmente un cane sciolto, con un difficile rapporto con la madre e senza un vero senso di comunità; Stocker è al contrario una donna di montagna, molto legata al padre appassionato di caccia ed inserita nella propria comunità professionale e sociale in modo positivo. Perfino le auto raccontano di due mondi diversi: vecchia e sporca quella di Winter, moderna e curata quella della Stocker. Infine il senso morale che incide non solo sulle rispettive carriere, ma anche sulla visione del mondo e delle relazioni personali: per Ellie non esistono le sfumature di grigio che invece abbondano nella vita del collega.

La commissaria Stocker è il ritratto di una donna forte, ma carica di umanità. Il suo amore per il collega Claas Wallinger, mantenuto per lungo tempo sottotraccia ed esploso durante le indagini, in un momento di particolare tensione e fragilità, è descritto in modo efficace, così come la scelta di abortire, oppressa da un senso di colpa che agli occhi degli spettatori appare estremamente umano proprio perché discutibile e divisivo nei suoi contenuti morali.

Quando compie la scelta di mollare senza mezzi termini le indagini, segnata dalla conclusione forzata della storia con Claas, stremata dagli attacchi personali e professionali e spezzata dal desiderio collettivo di una soluzione più che della ricerca della verità, Ellie ci sembra così vicina da poterla toccare. Ellie Stocker è insomma un personaggio lontano dagli stereotipi e dai luoghi comuni, capace di emozionare proprio perché passionale, testardo, fallibile. E’ inoltre una donna che non persegue l’obiettivo di essere onnicomprensiva: al contrario rinuncia a qualcosa, ad un certo momento sembra addirittura voler rinunciato a tutto. Con il proseguire delle indagini la sua fiamma diventa fievole, ma non si spegne completamente.

La cosa incredibile è che sia un poliziotto tutt’altro che senza macchia a riaccenderla: il commissario austriaco Winter è una variante del poliziotto corrotto e dipendente che ha provato sulla propria pelle tutta la sofferenza della vita, ma nel suo amore per la musica (straordinaria la performance nel bar dove fa colazione) e nel suo lavoro permane una scintilla vitalistica che il grigiore e la mediocrità dei compromessi quotidiani non hanno spento. La sua fiamma, al contrario di quella di Ellie, prende vigore con il passare del tempo e con il prosieguo delle indagini. E’ sicuramente un personaggio simpatico e, nonostante i modi bruschi e la scarsa propensione sociale, riesce a far breccia nel cuore dello spettatore.

Anche gli altri personaggi ci sono sembrati solidi, a cominciare dal Krampus Killer, Gregor Ansbach (Franz Hartwig) che permette allo show di trattare alcuni dei temi principali al centro del dibattito pubblico in questi anni: l’equilibrio (o forse dovremmo dire dis-equlibrio) tra uomo e natura, l’appropriazione sovranista delle tradizioni popolari legate al territorio, la vacuità della società fondata sull’apparenza mediatica dei social, il pericolo rappresentato dal dilagare della tecnologia informatica e quindi l’importanza della cyber security. I ragionamenti del killer, per quanto espressi in tono invasato e apocalittico, esprimono preoccupazioni che sono diffuse nella nostra società e che abbiamo già visto rappresentate in altre serie europee, come la seconda stagione di Trapped.

In quel caso la minaccia al rapporto tra uomo e natura era portata dall’industrializzazione selvaggia e dalla globalizzazione; qui invece è piuttosto la matrice culturale ad essere minacciata da una società vuota ed egoistica. Un altro tema interessante è l’immigrazione, con la vicenda della giovane e sfortunata Milica che fornisce non solo un ritratto toccante delle aspirazioni e dei sacrifici dei clandestini, ma anche un’impietosa descrizione di come le miserie altrui rappresentino spesso un’occasione di sfruttamento da parte dei benestanti cittadini europei. Anche in questo caso spicca l’analogia tematica con Trapped e lo stesso vale per il ruolo che la natura svolge in tutta la vicenda: tra i profili austeri delle montagne imbiancate da una neve candida e spietata, l’uomo sembra solo un goffo e mal sopportato ospite.

La serie è una coproduzione austro-tedesca realizzata per Sky dagli showrunner Cyrill Boss e Philipp Stennert ed è spirata ad un format utilizzato in diverse serie e che possiamo definire come “the bridge” ovvero il rinvenimento di un cadavere in una zona di nessuno o di dubbia pertinenza che richiede per lo svolgimento delle indagini la collaborazione tra le forze di polizia di due diversi stati. Solo grazie al confronto con l’altro sarà possibile la risoluzione del caso. Il messaggio è chiaro ed è significativo che sia stato riproposto a più riprese a partire dal format svedese/danese del 2011, bipartisan anche nel titolo: Broen in danese e Bron in svedese.

L’idea è stata così fortunata da arrivare alla quarta stagione e da essere replicata dalla serie americana The bridge del 2013-2014. Analogo format prevede anche The tunnel, del 2013, in cui il corpo di un politico viene rinvenuto sul confine tra Francia e Regno Unito. Niente di nuovo quindi, ma come sempre la reiterazione di un topos ha non solo un valore narrativo (funziona), ma anche un significato sociale, cioè ci dice qualcosa sulla società in cui viviamo o su quella di cui sentiamo il bisogno. Con buona pace di tutti i sovranisti.

La scelta di effettuare diversi movimenti avanti e indietro nel tempo, di anticipare alcuni fatti e poi di ripercorrerli nel dettaglio arricchendo il quadro, consente di mantenere sempre alta l’attenzione dello spettatore all’interno di una trama piuttosto prevedibile negli sviluppi principali. Gli episodi sono riempiti in modo efficace, senza eccessi né dilatazioni a conferma di una scrittura senza sbavature che però risente di un eccesso di funzionalismo. Nelle interazioni verbali manca un po’ di brillantezza: una scelta forse voluta, ma che alla lunga fa perdere qualcosa al ritmo della narrazione. Una menzione particolare per la colonna sonora, capace di alternare sonorità tradizionali a trame elettriche utilissime nel creare l’atmosfera di sospensione e attesa propria dei thriller. Del resto il produttore musicale è Hans Zimmer, una garanzia, autore tra l’altro della colonna sonora de Il Gladiatore e di numerosi film di Nolan: Batman Begins, Inception, Dunkirk.

Lo show conferma la qualità delle produzioni Sky Deutschland: le altre sono state Babylon Berlin e Das Boot, entrambi programmi di qualità a cui abbiamo dedicato spazio in passato.

Der Pass (Pagan Peak) si conclude con un immancabile cliffhanger che può essere autoconclusivo, ma anche lasciare spazio ad una seconda, auspicabile, stagione.

Titolo originale: Der Pass (Pagan Peak)
Durata media episodio: 60 minuti
Numero degli episodi: 9
Distribuzione streaming: RAI Play
Genere: Crime,Thriller, Drama

Consigliato: a quanti amano i paesaggi glaciali, i personaggi tormentati ed i thriller con un buon rapporto tra azione ed indagine.

Sconsigliato: a quanti preferiscono thriller adrenalinici, senza tematiche sociali dal contenuto politicamente orientato.

Visioni parallele:

Trapped, la serie islandese è, come ricordato nella recensione, per molti aspetti sovrapponibile a questa produzione tedesca. Lo spettatore ritroverà gli stessi paesaggi glaciali, lo stesso interesse per i temi sociali e la scelta di puntare su personaggi reali e concreti, pieni di fallibilità e contraddizioni.

Un’immagine: la scena in cui l’ispettore Winter canta a squarciagola una canzone popolare durante la colazione in un bar anonimo è da incorniciare.

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