Venezia 2011. Il secondo giorno

CARNAGE di Roman Polanski ***

In concorso

Marco Mueller ha raccontato ieri alla conferenza stampa di apertura che ha scelto i film del concorso guardando i pantaloni e la camicia dei suoicollaboratori, alla fine delle loro proiezioni: quando all’entusiasmo dei selezionatori corrispondeva anche una piega impeccabile dei vestiti, il film era certamente piaciuto, quando alle parole d’elogio corrispondevano vestiti stazzonati, allora al piacere intellettuale non era seguito, durante la proiezione, lo stesso grado di attenzione emozionale.

Secondo Mueller infatti un film deve rapire a tal punto da costringerci all’immobilità durante le due ore di proiezione… se invece ci si muove troppo, ci si agita sulla sedia, allora forse il film lo stiamo subendo.

Alla fine degli 80 minuti di Carnage i nostri pantaloni erano immacolati.

La piece di Yasmina Reza, adattata per lo schermo assieme a Polanski, è un fuoco d’artificio recitativo che sfrutta magnificamente non solo la bravura dei quattro interpreti, Jodie Foster e John C. Reilly, Kate Winslett e Christoph Waltz, ma persino i loro stessi clichè di attori. Polanski ritorna alla tensione dei suoi film d’esordio, mantenendo i quattro in una forzata e claustrofobica coabitazione, che rispetta le regole aristoteliche di unità di tempo, di luogo e di azione per raccontare come due coppie di genitori cerchino di affrontare l’episodio di violenza, che ha fatto incrociare i loro figli.

Nella prima scena del film, in campo lungo, un ragazzino, armato di bastone, colpisce con forza l’altro, rompendogli gli incisivi, mentre è circondato da quella che sembrerebbe una piccola gang.

I suoi genitori incontrano quelli della “vittima”, per cercare una soluzione amichevole e ragionevole. La mediazione obbligata dalle convenzioni sociali e culturali ed imposta dal politically correct, finisce pian piano per rivelare la vera natura, non solo del modo con cui le due coppie si sono rapportate all’evento, ma anche, molto più radicalmente, il loro atteggiamento verso la vita, il matrimonio, i rapporti sociali.

Una serie di incidenti imprevedibili spingono le quattro persone a rivelare la loro inettitudine, la loro cattiveria, il cinismo, l’insofferenza, la superficialità su cui hanno costruito un menage familiare e una serie di relazioni sociali, che pian piano vengono a galla.

In una fiera delle vanità e delle ipocrisie, i quattro tentano disperatamente di apparire ragionevoli e giusti, ma la tensione sotterranea finisce per esplodere travolgendo i quattro irreparabilmente.

Polanski costruisce un magnifico acquario sociale, pieno di pesci combattenti, con lo spirito del kammerpiel che solo a tratti rivela la sua natura teatrale, anche grazie alla bravura prodigiosa degli interpreti, in particolare di Waltz e Winslett, lui avvocato delle corporation, lei mamma frustrata e trascurata moglie in carriera.

Più in parte invece il bonario Reilly, che rivela solo alla fine tutto il suo rozzo conformismo e l’isterica Jodie Foster, buonista e testarda fino allo sfinimento. Dopo l’apertura in stile seventies di Clooney, il concorso ci regala il primo gioiello. Non perdetelo.


W.E. di Madonna **

Fuori concorso

Al suo secondo film, dopo l’esordio interessante di Sacro e Profano, si può certamente dire che Madonna sia piuttosto interessante anche come regista e molto più classica e romantica di quanto appaia nei video e on stage.

W.E. racconta in parallelo due storie d’amore. Quella famigerata tra Edoardo VIII e Wallis Simpson, negli anni Trenta ed un’altra ambientata nella New York del 1998, con un’altra Wallis, tradita e umiliata dal marito brillante strizzacervelli. In occasione di un’asta di Sotheby’s dei cimeli della coppia, la giovane Wallis finisce per identificarsi e idolatrare quella coppia, finendo per vivere lei stessa una nuova storia d’amore, che ribalta i ruoli originari.

In un continuo alternarsi dei piani narrativi tra presente e passato, le due donne vivono amarezze e piccole gioie. Dopo una prima parte interessante e certamente riuscita, il film cede nell’ultima mezz’ora quando la parte moderna diventa piuttosto prevedibile ed eccessiva. Una bella sforbiciata gli avrebbe certamente giovato.

Curioso il confronto con Il discorso del Re, che racconta gli stessi anni dalla parte del fratello di Edoardo, il balbettante Bertie. Non che il lavoro di Madonna non sia almeno in parte apologetico dei due discussi amanti, ma il punto di vista della regista è giustamente soggettivo e filtrato attraverso gli occhi adoranti della moderna Wallis.

Il film contesta le simpatie naziste dei due, ma non fa altri sconti ai due protagonisti, togliendo molto glamour ad un’unione che i rotocalchi considerano la storia d’amore del secolo.

Discreto il lavoro sugli attori, ed ottima la scelta della meravigliosa Abbie Cornish, che illumina il film nonostante la sua parte sia quella più prevedibile. Non manca un tocco musicale spiazzante nella scelta anacronistica delle canzoni ed un po’ troppa moda nei vestiti della Cornish, sempre impeccabile e austera, vestita in nero.

Inevitabile pensare che Madonna stessa sia stata ossessionata dal personaggio della Simpson, così come la Wallis moderna, che rispecchia forse molte delusioni e frustrazioni della stessa regista.

Un po’ troppo product placement ed una fastidiosa apologia delle case d’aste lasciano l’amaro in bocca. Ma forse siamo noi ad avere visto al di là delle intenzioni.

Rimandata a settembre…

RUGGINE di Daniele Gaglianone **

Giornate degli Autori

Il nuovo film di Gaglianone, prodotto da Arcopinto e da Procacci, si giova di un cast all star con Filippo Timi, Mastandrea, Accorsi e Valeria Solarino. Tutti riuniti per raccontare la storia di un’estate violenta nella periferia torinese, abitata dai ‘terroni’ e dai loro figli.

Siamo negli anni ’70 di Pulici e Graziani.

I protagonisti sono un gruppo di ragazzini, che giocano in ex fabbrica in rovina che chiamano il castello. Lì accadranno delitti atroci e violenze che resteranno sepolte nell’inconscio dei tre protagonisti.

Il film alterna il racconto dell’infanzia con tre momenti che vedono i protagonisti ormai adulti, alle prese con i fantasmi di un tempo. Siamo dalle parti di Io non ho paura e di Mystic River, molto lontani però negli esiti.

Il racconto di Gaglianone si arena continuamente quando si passa al presente, con tre storie francamente inconsistenti, mentre la parte d’epoca è forte ed inedita, regalandoci il solito Filippo Timi sopra le righe e schizofrenico.

Vengono a galla tutti i limiti di sceneggiatura e anche la solita produzione debole della Fandango, incapace di imporsi su scelte registiche autoriali, spesso improponibili.

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