Cannes 2023. Just the Two of Us – L’Amour et les Forêts

Just the Two of Us – L’Amour et les Forêts **1/2

Il sesto film dell’attrice, sceneggiatrice e regista cinquantenne Valerie Donzelli (La guerra è dichiarata) segna il suo ritorno a Cannes, nella sezione Premiere, con l’adattamento del romanzo omonimo di Éric Reinhardt.

Un lavoro di riscrittura per il cinema che la Donzelli ha diviso con Audrey Diwan, Leone d’oro per L’événement – La scelta di Anne e storica partner di scrittura dei polar di Cédric Jimenez.

Il risultato è un film di uomini e donne che sembra un campo di battaglia in cui i colpi sono sostituiti dalle perole, ma in cui la strategia, le alleanze e i tradimenti sono elementi tutti imprescindibili.

Dopo la guerra alla malattia, la Donzelli evoca quella di una relazione che oggi si direbbe tossica, asfissiante, criminale.

Quando Blanche incontra Grégoire, ad un festa a cui l’ha trascinata la sorella gemella Rose, tra i due scatta immediatamente un’attrazione fatale: l’uomo, che lavora in banca, è premuroso, attento, generoso, sessualmente incontenibile e spinge Blanche, una professoressa che è appena uscita da una relazione sbagliata, a condividere il suo entusiasmo trascinante, per una relazione che sin dall’inizio ha i caratteri dell’esclusività.

Blanche rimane incinta, si sposa con Grégoire e i due si trasferiscono dal mare della Normandia a Metz, una cittadina in mezzo alla foresta, al confine con il Lussemburgo.

Qui Blanche trova lavoro in un liceo locale, ma deve resistere all’insistenza del marito che la vorrebbe sempre a casa e al suo controllo ossessivo su scontrini, orari, viaggi, benzina.

Nel frattempo nasce il loro secondo figlio, ma la situazione familiare diventa sempre più soffocante e psicologicamente disturbata.

Donzelli e Diwan costruiscono il loro film a partire dai flashback che interrompono la confessione di Blanche al suo avvocato, quando tutto è precipitato e le apparenze felici si sono trasformate in assalti e la gelosia è trascesa in ossessione amorosa.

Il punto di vista di questa storia è pertanto rigidamente uno: quello di Blanche, immediatamente inquadrata nel ruolo della vittima. Non ce ne sono altri.

Se L’Amour et les Forêts è un film di guerra, è uno di quelli un po’ manichei in cui il bene e il male sono rigidamente divisi. E’ evidente l’intento educativo delle due sceneggiatrici nel mostrare i segnali più evidenti di una relazione malata sin dai suoi esordi apparentemente sereni, mettendo in guardia mogli e compagne troppo accondiscendenti e disarmate sui rischi di quella manipolazione psicologica che diventa poi una prigione per sè e per i propri cari.

Così ideologicamente schierato – e non è detto che sia per forza un male – il film diventa tuttavia piuttosto risaputo, anche perchè fin dalla scelta degli interpreti non possiamo che empatizzare con la dolcezza burrosa e conturbante della Efira, diffidando della magrezza segaligna e dello sguardo insincero di Melvil Poupaud.

Tutto appare troppo chiaro sin dal primo momento, troppo sospetto a partire dal primo incontro tra i due. Il film segue il disegno iniziale senza mai guardarsi indietro e senza mai instillare il minimo dubbio, riducendo la complessità della vita familiare al racconto di un carnefice e di una vittima. E non ci aiuta molto a comprendere il percorso dell’uno come quello dell’altra, lasciando entrambi i personaggi nella loro posizione iniziale, in un ruolo immutabile che sembra assegnato dal destino o dal carattere.

Certamente utile e efficace come strumento di analisi e comprensione del fenomeno psicologico e criminale, L’Amour et les Forêts è molto meno interessante dal punto di vista cinematografico.

Musiche di Gabriel Yared, fotografia granulosa e un po’ retro di Laurent Tanguy.

Militante.

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