Cannes 2023. The Sweet East

The Sweet East **1/2

Il debutto alla regia di Sean Price Williams, il quarantacinquenne direttore della fotografia dei film di Alex Ross Perry e dei fratelli Safdie, è un’avventura picaresca che attraversa gli Stati Uniti, con spirito anarchico e nonsense.

La protagonista è Lillian, interpretata da Talia Ryder, che avevamo conosciuto nel bellissimo Mai raramente a volte sempre, qui al centro di un viaggio che comincia su un pullman per Washington, assieme al fidanzato Troy e ai compagni di classe e poi devia clamorosamente quando abbandona il suo telefono nel bagno di un locale, in cui ha fatto irruzione un gruppo di attivisti punk, guidati dal ricco Caleb, che la portano con loro e la accolgono nel loro gruppo radicale.

Il primo obiettivo è disturbare un raduno di suprematisti bianchi a Trenton, solo che l’indirizzo è sbagliato e non li trovano. Lillian invece, allontanatasi dal gruppo per fare pipì, ci finisce proprio in mezzo, facendo conoscenza con Lawrence, un professore universitario, un incel come si direbbe oggi, che la accoglie a casa sua e resiste alle sue avances.

Quando uno dei suprematisti consegna a Lawrence una grande borsa rossa da portare a New York, Lillian muore dalla curiosità di vedere cosa contenga.

Sulle strade di New York, dopo aver rubato la sacca di Lawrence viene fermata da una coppia di registi-produttori che la scelgono come protagonista del loro film in costume. Sul set conosce il giovane lanciatissimo protagonista, il suo volto misterioso finisce sui giornali di gossip e la gang dei suprematisti la ritrova, per riavere indietro la borsa rossa.

Lillian così è costretta nuovamente a fuggire…

Williams sembra avere troppe idee per quante un film ne possa contenere, il suo lavoro è sfrangiato, episodico, costruito giustapponendo situazioni grottesche e surreali. Il ruolo di Lillian, che ci viene subito presentata come un’osservatrice, una di poche parole, annoiata dal mondo e da ogni prospettiva, è il testimone perfetto per il detour in cui precipita, senza avvertire alcun pericolo, senza mai farsi troppe domande, assecondando le ossessioni degli altri, senza prendere posizione.

Il film mantiene sempre un tono onirico in cui non la satira sociale e culturale si fa spesso presa in giro di un paese sempre più estremista e sempre più diviso, incapace di trovare un terreno comune su cui dialogare.

Ogni microcosmo è infatti un mondo a sè, chiuso nelle proprie certezze e nella propria vanità.

Solo che il film di Williams è confuso, irrisolto e già di culto, per il suo andamento libero e associativo. Evidentemente rivolto a un pubblico di giovanissimi, The Sweet East resta una sorta di curioso oggetto non identificato e nella sua confusione sembra non trovare mai davvero il bersaglio giusto, tanto che l’unico personaggio che sembra avere una sua complessità e dignità è il prof. Lawrence, le cui teorie complottiste anti-liberal lo rendono tuttavia del tutto irricevibile.

Interessante invece il lavoro della Ryder su un personaggio del tutto passivo, capace di cambiare compagnie, nomi e ruoli sociali, pur rimanendo sempre distaccato da tutto.

Formidabili i titoli di testa disegnati sullo schermo mentre la Ryder canta allo specchio.

 

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