Prequel ideale di X – A sexy horror story, Pearl ci mostra l’anziana killer che sterminava la troupe porno, quasi cinquant’anni prima, nell’america rurale del 1918, verso la fine della Prima Guerra Mondiale.
Pearl è la figlia di due coloni di origine tedesca. Il padre è ormai infermo, costretto immobile su una sedia a rotelle, la madre manda avanti la fattoria, cercando di sopravvivere agli stenti, con una disciplina feroce e teutonica.
Pearl invece, che attende invano il ritorno del marito dalle trincee europee, sogna di fuggire da quell’ambiente chiuso e opprimente, grazie alla magia del cinema.
Quando scende in paese in bicicletta, per comprare le medicine necessarie al padre, si ferma al cinematografo a vedere gli spettacoli di varietà e i cinegiornali d’epoca.
Conosce il giovane e audace proiezionista e quando la chiesa locale ospita un’audizione per formare un corpo di ballo che possa girare lo stato, cerca di cogliere quell’opportunità nonostante l’opposizione rigida della madre.
Assieme alla giovane e bionda cognata si presenta così sul piccolo palco parrocchiale, ma le cose non andranno come sperato.
Rispetto a X, che strizzava l’occhio agli horror degli anni ’70, fra Tobe Hooper e Wes Craven, Pearl è un tentativo di superare i generi di riferimento, pur restando all’interno di una cornice da solido B-movie.
Ci sono echi del musical delle origini a riempire i sogni ad occhi aperti della protagonista, che pure sembra avere un rapporto anestetizzato col dolore e il sangue.
Lo vediamo sin dalla primissima scena in cui usa il forcone per punire l’oca Goose e darla in pasto all’alligatore che sembra richiamare quello del film precedente.
La madre si è accorta di queste sue stranezze e di queste piccole crudeltà, ma conta di contenerle grazie alla rigida disciplina familiare.
Solo che Pearl è inarrestabile, la sua fantasia di fuga e riscatto si trasforma in una sinfonia di morte, quando i suoi sogni vengono infranti senza motivo.
L’influenza spagnola che dilaga nelle città è un monito che lega passato e presente, gli echi di una guerra lontana che pure ci coinvolge appieno, è un altro elemento di inquietante contemporaneità.
Anche questa volta come in X, Ti West gioca l’elemento metacinematografico, fin dalla primissima scena, che sembra aprirsi su altri sentieri selvaggi, e che poi richiama un topos eterno del cinema americano, quella fattoria che abbiamo imparato a conoscere come focolare a cui ritornare in ogni storia western.
Qui tuttavia assume un significato opposto, di castrante oppressione. Ma i segni cinematografici sono molteplici: dalle ballerine dei film proiettati nel piccolo cinema di paese, ai film proibiti, che il proiezionista le mostra, fino ai cartelloni che annunciano il Cleopatra con Theda Bara, e poi alle esplosioni musicali che sembrano richiamare Il mago di Oz, almeno nel ballo con lo spaventapasseri.
Ma se il desiderio di Pearl è quello di rinasce come una stella del cinema, la realtà invece ci mostra la nascita di una spietata assassina.
Tutto questo non sarebbe possibile senza l’interpretazione trascinante di Mia Goth, capace di passare dall’innocenza ingenua alla crudeltà più efferata, dal candore alla malizia, dalla remissione alla rivolta.
Anche co-sceneggiatrice e produttrice del film la Goth è una forza della natura capace di attraversare molti diversi registri nella stessa scena passando dalla minaccia alla tenerezza, fino all’ironia con uno spettro davvero invidiabile.
La sua Pearl è un personaggio che in X era schiacciato da un destino di morte. Qui invece la vediamo esplorare ogni possibilità narrativa in tutta la sua esuberanza.
Scoperta e lanciata da Von Trier in Nymphomaniac, la Goth trova qui la sua consacrazione, in un piccolo film di genere, che riesce a trasportare oltre i confini del risaputo.
Lo stesso vale per Ti West che stavolta riesce davvero a convincere, nel racconto surreale di un talento perduto e di una vocazione ritrovata, che non assomiglia a nessun altro e che mescola sapientemente ingredienti noti in un modo finalmente originale.
Nel suo film l’orrore rimane a lungo inespresso, nascosto nella luce chiara e nei colori brillanti di una sorta di finto technicolor, tuttavia contagiando ogni immagine di un’inquietudine che è specchio dei tempi e che si nutre di paure sociali e insoddisfazioni e ingiustizie personali.
Da non perdere.