La serie Peaky Blinders (2013-2022) ha rappresentato in questi anni uno dei principali prodotti del catalogo Netflix, capace di raccogliere consenso sia da parte della critica che del pubblico, per l’innegabile efficacia della sintesi tra estetica cinematografica e azione adrenalinica. E poi c’erano loro, i membri della famiglia Shelby, capaci di miscelare in un cocktail ben equilibrato senso di appartenenza al clan e desiderio di affermazione personale, istintività gitana e razionalità da uomini d’affari, desiderio di potere e sete di libertà, fedeltà e trasgressione: personaggi complessi, completi e affascinanti. Dopo cinque stagioni di successi e premi, sembrava arrivato il momento di chiudere la saga, se non della famiglia, almeno del suo leader, cioè Thomas Shelby (Cilian Murphy). Da sempre teso a superare i propri limiti, in tutti i campi, egli sembrava a un passo dal baratro già nell’episodio conclusivo della quinta stagione, dopo il fallito attentato al fascista inglese Oswald Mosley (Sam Claflin): brancolava tra la nebbia della sua tenuta, con una pistola stretta in mano e la sensazione che da un momento all’altro potesse decidere di usarla per porre fine alla sua sofferenza.
Naturalmente questo non accade e da qui inizia la nuova stagione.
Tommy deve ripartire con un ulteriore fardello psicologico e cioè il senso di responsabilità per la morte di Polly (Helen McCrory), vera e propria capofamiglia, nonché custode delle arti divinatorie gitane, coinvolta nella vendetta dell’IRA verso i Peaky Blinders, colpevoli di aver cercato di uccidere Mosley. Nel primo episodio della sesta stagione, Black Day, vengono infatti restituiti a Tommy tre cadaveri, uno dei quali è proprio di Polly, che muore off-screen a causa della prematura scomparsa dell’attrice che la interpretava, Helen McCrory, deceduta nel mese di Marzo del 2021. Un duro colpo, anche a livello narrativo, per il particolare rapporto che legava Polly e Tommy, per molti aspetti complementari l’uno all’altra nel fare le fortune della famiglia Shelby e nel mantenerla unita. Senza di lei Tommy è più debole e i suoi nemici sono pronti ad approfittarne.
Il principale avversario politico resta Mosley, mentre dal punto di vista criminale la sfida è con la mafia di South Boston, con cui gli Shelby si contendono il mercato dell’Oppio nell’East Coast. Se questi sono i nemici esterni, il più pericoloso sembra ancora una volta il nemico interno, cioè la sua stessa mente, perennemente insoddisfatta, insonne, inappagata e devastata dai sensi di colpa. Per affrontarla Tommy smette perfino di bere: vuole essere lucido per non commettere più errori di valutazione come quello che è costato la vita a Polly. Una promessa messa a dura prova dal tradimento di Michael (Finn Cole), dalla prematura scomparsa della figlia Ruby (Heaven-Leigh Clee) e dalla conseguente separazione con la moglie Lizzie (Natasha O’Keeffe). Con il passare del tempo sembra che solo Tommy Shelby sia in grado di eliminare Tommy Shelby: un’idea che qualcuno prende molto sul serio.
La stagione è focalizzata sulla lotta di ciascun membro della Famiglia con i propri demoni. Arthur (Paul Anderson) ad esempio è in piena dipendenza dall’oppio e solo l’intervento dell’ex moglie Linda (Kate Philips), spinta da una generosa offerta di Thomas per la sua fondazione, sembra riuscire in qualche modo ad aiutarlo. Michael è consumato dalla passione per la moglie e dal desiderio di vendetta verso Tommy per la morte della madre Polly; Lizzie non riesce a superare il trauma per la scomparsa della figlia Ruby; c’è poi Tommy, i cui fantasmi/incubi sono sempre più numerosi e stratificati, a partire da quelli che rievocano la drammatica esperienza al fronte, durante la prima guerra mondiale, per giungere al senso di colpa per la morte di Polly e della figlia Ruby. Lo spazio dedicato agli incubi di Thomas è rilevante, soprattutto dal punto di vista estetico: sono infatti inserti particolarmente cupi che a tratti hanno il sapore dell’horror. Una scelta che, anche se ben realizzata e integrata nel contesto, a livello narrativo fa perdere compattezza al racconto e ne abbassa il ritmo rispetto alle precedenti stagioni. Lo spostamento del focus su questioni politiche toglie inoltre spazio alla tradizionali sparatorie, agli inseguimenti e alle bombe. Una transizione già iniziata nella quinta stagione e che ora acquisisce ulteriore spazio.
Le macchinazioni del potere possono essere altrettanto cruenti dei combattimenti fisici, come ci ha insegnato House Of Cards, ma non è questo il caso.
La scelta di cambiare tono e ritmo sarebbe comunque accettabile, se non fosse inserita in uno schema a cui nelle stagioni precedenti la narrazione ha fatto più volte riferimento, al punto da renderlo abusato. Il topos di Tommy sconfitto, messo all’angolo dai nemici, ma capace di rialzarsi e pronto a tutto pur di ottenere una pronta rivincita, è infatti stato ampiamente utilizzato dalla serie. La diminuzione del ritmo a favore dell’analisi psicologica dovrebbe andare del resto di pari passo con dialoghi più brillanti e articolati. Questo non accade: gli scambi verbali restano freddi, ingessati e pesanti e del resto è la stessa natura introversa e taciturna dei protagonisti a rendere complesso il passaggio a una drammaturgia più legata al verbale. Solo con gli scambi di battute tra le donne qualcosa si muove: l’arguzia e la malizia delle loro stilettate avrebbero anzi meritato più spazio. Ci sarebbe piaciuto che Ada, Lizzie, Gina ed Esme avessero un ruolo più rilevante perché caratteri affascinanti e più adatti a portare avanti la vena introspettiva di cui abbiamo detto. Un altro aspetto negativo è l’insistenza reiterata sul tono epico-lirico: un po’ più di levità avrebbe giovato e alleggerito la cappa di autocelebratività che imprigiona i protagonisti. Quel mood che finora ha dato alla serie un’identità precisa e ben spendibile, anche sul mercato, ha esaurito la sua funzione. Non basta rinunciare all’alcol per rendere Tommy diverso, forse un sorriso sul suo volto sarebbe stata una rivoluzione più epocale. E’ questo un tratto, l’esasperazione dei caratteri, che coinvolge anche altre figure, in primis quelle femminili: il personaggio di Diana Mitford (Amber Andersson), la compagna di Mosley, è davvero troppo artefatto e costruito, anche nelle sue espressioni antisemitiche, per essere credibile. Qualcosa di analogo del resto si potrebbe dire anche per lo stesso Mosley.
La stagione è comunque godibile, soprattutto dal punto di vista estetico e potrebbe rappresentare la conclusione di un’epopea che ha già vissuto i suoi momenti migliori. Il problema (o la via di fuga, a seconda delle prospettive) è che l’episodio finale, Lock and Key, è tutto fuorché una fine. E’ evidente che si tratta solo di una pausa narrativa propedeutica al film che Steven Knight ha promesso ai fan.
Il credito accumulato da Knight e dai suoi Peaky Blinders merita fiducia: aspettiamo ancora, pazientemente, sperando che l’annunciato prossimo lungometraggio restituisca alla narrazione la giusta prospettiva. E consegni a questi iconici gangster una fine degna della loro proverbiale legge.
Titolo originale: Peaky Blinders
Durata media degli episodi: 45 minuti
Numero degli episodi: 6
Distribuzione streaming: Netflix
Genere: crime, drama
Consigliato: a quanti hanno seguito con affetto le vicende della famiglia Shelby: per quanto sottotono, la stagione merita di essere vista, anche in previsione del prossimo film.
Sconsigliato: a chi in questi anni ha apprezzato la serie soprattutto per ritmo e adrenalina: da questo punto di vista sono davvero pochi gli episodi degni di essere ricordati.
Visioni parallele: Boardwalk Empire, la serie HBO ideata da Terence Winter e ambientata ad Atlantic City negli anni ’20 del 1900. Il proibizionismo sta iniziando, così come la scalata al potere di Enoch Malachi Thompson (Steve Bushemi), impegnato a stabilire la propria egemonia su due fronti, quello criminale e quello politico. I punti di contatto sono numerosi, ma questo di sicuro lo avete già capito …
Un’immagine: la canzone “Red Right Hand” di Nick Cave era stata l’iconica sigla dello show nelle scorse stagioni, sintesi della violenza adottata da Thomas e dai suoi Peaky Blinders per ottenere successo, ma anche di una forma di giustizia che trova nella vendetta la sua norma e nei Peaky Blinders i suoi esecutori. Replicata con un’ampia serie di cover realizzate da artisti famosi, questa volta è l’assenza della canzone a colpire lo spettatore. Sembra davvero prefigurare la fine di un’epoca, ma poi le ben conosciute note ritornano, con la voce di Patti Smith, nel quinto episodio: The Road to Hell. Per la mano vendicatrice di Tommy non è ancora giunto il momento di riposare …