Cannes 2022. Showing Up

Showing Up *

Dopo il notevolissimo ed evocativo First Cow, Kelly Reichardt trova finalmente il concorso di Cannes e torna a lavorare con la sua attrice feticcio, Michelle Williams, in un film che richiama quel neo-neorealismo minimalista di cui secondo Tony Scott del New York Times è la capofila, all’interno del cinema indipendente americano.

Lizzie Carr è un’artista che realizza coloratissime statuine femminili. E’ in procinto di terminare il lavoro per una personale in una bella galleria e il caos attorno a lei sembra nutrire le sue inquietudini.

La vicina e padrona di casa Jo Trann è un’altra artista che ha una personale in corso e che non ha alcuna intenzione di prendersi cura dello scaldabagno rotto di Lizzie.

Il suo gatto afferra un piccione che le due donne cercano di salvare bendandogli un’ala, portandolo dal veterinario e tenendolo al caldo in una scatola che si contendono.

La madre di Lizzie l’aiuta a definire i dettagli dell’esposizione, mentre il fratello è nel pieno di una severa depressione e teme che i vicini complottino per non fargli vedere Channel 4, con i suoi show preferiti.

Alla fornace dove la protagonista cuoce le sue creazioni, Eric brucia una delle sue creazioni.

Finalmente arriva il giorno dell’esibizione e tutti i personaggi convergono alla galleria, piccione compreso

Il film è tutto qui. Fatto di nulla, con nulla. Probabilmente per nessuno. Chi si incaricherà di distribuire in Italia nelle sale già afflitte dal post-Covid un film così deprimente?

La scrittura è al grado zero, nessuna apparente drammaturgia, nessun dialogo che non possa essere stato improvvisato o scritto 5 minuti prima delle riprese. I conflitti ci sono, ma restano irrisolti. I personaggi cristallizzati nella loro stasi. Il minimalismo della Reichardt si avvicina all’irrilevanza.

Al confronto Chloé Zhao sembra Tarantino.

La protagonista se ne va in giro con l’aria perennemente afflitta e i capelli sporchi, senza trucco, con gonne di lunghezza punitiva e calzettoni di un indefinibile color tortora accompagnate da ciabatte di camoscio o crocs, l’unico amico sembra essere il suo gatto rosso. Ma anche lui diventa un peso, quando miagola per croccantini finiti e poi cerca di rifarsi col piccione.

Il film purtroppo è sciatto come la sua protagonista. E non suscita alcuna simpatia, con la sua palette muta di marroni declinati in tutta la loro desolazione.

In Showing Up tutti sono “artisti” o vorrebbero esserlo o ci provano. In fondo è solo una questione di buona volontà: il talento, questo sconosciuto.

I dialoghi sono sempre tra l’inutile e l’improvvisato: si resta in superficie, chiacchiericcio a riempire i silenzi. L’ironia è così sottile da apparire involontaria.

Nessuna riflessione sull’atto creativo, nessuna influenza tra arte e vita, niente neppure su quel velleitarismo acritico tipicamente americano, che di tutti fa degli artisti potenziali: in fondo l’importante è una pacca sulle spalle degli amici e che è qualcuno poi compri.

Il film è punitivo, i suoi 107 minuti sembrano mille di più e tutto si risolve con la liberazione del piccione salvato. Il resto può aspettare.

La Williams, se può interpretare un personaggio che soffre silenziosamente, è felice. E la Reichardt la accontenta volentieri.

A noi spettatori va un po’ peggio.

Desolante.

 

E tu, cosa ne pensi?

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.