Armageddon Time **
Con una certa sorpresa il nuovo film di James Gray (I padroni della notte, C’era una volta a New York, Civiltà Perduta, Ad Astra) è un piccolissimo lavoro personale, che rievoca i suoi ricordi di studente del Queens nella New York dei primi anni ’80.
Armageddon Time, nonostante il titolo altisonante, che richiama una frase pronunciata da Ronald Reagan nella sua prima campagna presidenziale, è semplicemente il racconto ad altezza di undicenne di un grande fallimento educativo.
Il protagonista è Paul, un ragazzino che frequenta la public school di Flushing, con il desiderio di diventare un artista. Sempre con matite e colori in mano, una caricatura del suo professore lo mette subito nei guai. La famiglia è di origini ebraiche e si è spostata in America dall’ucraina, al tempo delle persecuzioni razziali in Europa. La madre è nel consiglio studentesco e il padre idraulico cerca faticosamente – e grazie all’aiuto dei nonni materni – di tenere unita la famiglia.
L’unico amico di Paul a scuola è Johnny, un orfano che vive con la nonna inferma: ha già ripetuto l’anno ed è il bersaglio delle angherie del loro insegnante.
Paul sembra seguirlo nel suo atteggiamento ribelle e nei suoi continui tentativi di mettersi nei guai: insieme fumano erba, abbandonano la classe durante una visita al Guggenheim, finiscono più volte in castigo.
Fino a che i genitori esasperati di Paul non lo spostano in una prestigiosa Prep School privata, la Forest Manor, finanziata da Fred Trump.
Come dice ad un certo punto il nonno ebreo di Paul: il sistema è truccato e per avere un’educazione adeguata le scuole pubbliche non funzionano più.
Ma non basterà…
Il film di Grey è fragile, incapace di appassionare davvero, soffre di una scrittura diseguale e di un protagonista con cui è difficile empatizzare, talmente stupide e velleitarie sono le sue ribellioni, a casa come a scuola.
I temi del suo cinema ci sono tutti: l’eredità di chi ha scoperto l’America con l’emigrazione, il peso delle aspettative familiari, la durezza dei padri che spinge i figli ad affrancarsi dalla loro guida, la ribellione che si fa nelle strade e il sogno americano corrotto e compromesso.
Tuttavia la storia che racconta è sin troppo esile e sconclusionata, i due ragazzini hanno idee confuse e sogni impossibili. Paul non fa molto per farsi amare o anche solo comprendere. Le sue monellerie rischiano di pregiudicare tutto quello che i nonni e genitori hanno faticosamente costruito, ma lui non sembra mai rendersene conto. Nonostante il nonno abbia su lui un ascendente positivo, Paul è incapace di ascoltare davvero anche i suoi insegnamenti.
La strada per diventare adulti è lunga e la scelta tra bene e male non è netta come quel presidente attore sembra volerci far credere dagli schermi della televisione. E non esclude anche il tradimento di sè e dei propri amici, perchè l’America è profondamente ingiusta, il sistema è corrotto.
Se l’ambiente della Prep School è ritratto con un paio di giuste pennellate odiose, in realtà il ragionamento di Grey è tanto comprensibile quanto risaputo e un po’ anche velleitario.
Il film non decolla mai, i personaggi annoiano tutti dopo cinque minuti e il portato autobiografico diventa una scusa per coprire la trama esile su cui è costruito questo film.
I molti attori coinvolti che hanno abbandonato prima delle riprese, forse se ne sono accorti. Quelli che hanno accettato sembrano recitare pensando al cachet più che alla sceneggiatura. Peccato però sprecare un Anthony Hopkins così…
Deludente.