Acque profonde

Acque profonde **

Dopo vent’anni di silenzio il britannico Adrian Lyne, uno dei registi che più hanno segnato l’immaginario cinematografico patinato degli anni ’80 con il trittico Flashdance, 9 settimane e 1/2 e Attrazione fatale, torna al cinema grazie a un romanzo del 1957 di Patricia Highsmith.

Il romanzo, il quinto pubblicato dalla scrittrice americana, era già diventato un film nel 1981, diretto dal francese Michelle Deville e interpretato da Trintignant e dalla Huppert.

Affidato questa volta l’adattamento a Zach Helm e all’idolatrato Sam Levinson (Euphoria), coinvolta la Disney, attraverso l’acquisita 20th Century, e poi Hulu e Amazon per la distribuzione mondiale, Lyne sembra voler continuare a disegnare quel cinema di corpi, desideri e attrazioni, che ha attraversato la sua intera filmografia fin dai suoi esordi e ooi nei film successivi – Proposta indecente, il remake di Lolita, Unfaithful.

Solo che il thriller erotico è pressochè scomparso in tempi di #metoo, il male gaze è diventato una colpa e il cinema di Lyne è invece rimasto fermo ai controluce di un tempo.

Qui i protagonisti sono una coppia, Vic e Melinda. Lui genio high-tech ritiratosi a vita privata in una grande casa di legno a Little Wesley in Louisiana, lei giovane moglie straniera, più interessata a godersi la spensieratezza di feste, balli e flirt con uomini più giovani, che a corrispondere l’affetto del marito e della loro piccola figlia, Trixie.

I due dormono in letti separati e forse non si separano proprio per non turbare la serenità della bambina.  Dopo la scomparsa misteriosa di un caro amico di Melinda, Vic sembra guardare con sempre maggiore gelosia gli uomini che la moglie continua a frequentare, senza nascondersi affatto.

Ne allontana uno con minacce particolarmente inquietanti, poi rivolge le sue attenzioni a un pianista di cui la moglie sembra essere innamorata.

Quando quest’ultimo annega misteriosamente in piscina, durante una festa, nella vita di Melinda ritorna il suo primo fidanzato americano, Tony Cameron che le promette di portarla con sè in Brasile.

Lo scrittore Don Wilson si convince nel frattempo della colpevolezza di Vic e assolda con Melinda, un investigatore privato che lo smascheri.

Il film di Lyne è costruito malissimo dal punto di vista narrativo. Nella lunghissima prima parte sembra voler decostruire forzatamente il rapporto tra i due coniugi, facendo di Melinda una poco di buono, capace di passare di relazione in relazione, sempre mezza ubriaca, disinteressata alla figlia e al suo matrimonio, ma anche alla sorte dei suoi amanti, che scompaiono uno dopo l’altro.

Non meno problematico il ritratto di Vic, a cui Affleck dona la sua mono-espressività da cane bastonato, che associa al fisico imponente e sempre un po’ impacciato. Il suo personaggio attraversa la storia sempre in modo passivo, nonostante persino gli amici lo mettano in guardia sulla spregiudicatezza esagerata di Melinda. Tutta questa passività si ribalta improvvisamente nella seconda parte, in cui invece il suo iperattivismo assume tratti persino comici.

Vic sembra il Woody Harrelson di Proposta indecente, la sua famiglia non è dissimile da quella di Michael Douglas in Attrazione fatale: in Acque profonde Lyne sembra testardamente attaccato alle sue ossessioni di un tempo.

Quello che ha reso i suoi lavori sempre chiacchieratissimi, talvolta di culto, spesso scandalosi è stata la sua sensibilità psicologica e sociologica, il suo talento nel mettere in scena conflitti e relazioni comuni, spingendoli tuttavia fino al limite del paradosso. E lasciando così che il suo pubblico si dividesse in due, si interrogasse, continuasse a discutere.

Ma è proprio dal punto di vista psicologico che Acque profonde non è mai credibile o coinvolgente, mostrando due personaggi a cui il film toglie man mano tutto il fascino, lasciandoli in balia di una lunga scia di sangue e incidenti provvidenziali.

La scrittura drammatica è fredda, farraginosa, contribuendo a mantenere altissimo il livello di implausibilità di Acque profonde.

Quello che resta purtroppo è lo sguardo di Lyne, la sua teoria di controluce, specchi, vetri, fasci di luce che riquadrano la bellezza abbacinante di Ana de Armas, che sopravvive persino al tentativo di affidarle un personaggio lontanissimo da ogni sensibilità contemporanea.

Tuttavia è davvero troppo poco in un film che allinea una serie di svolte narrative talmente forzate, da suscitare sorrisi involontari. Il cast dei comprimari è gestito malissimo, non solo gli amanti di Melinda, destinati a una brutta fine, quanto gli amici della coppia, che sembrano scritti solo in funzione dell’ennesimo colpo di scena e non come personaggi reali.

Il cinema di Adrian Lyne è sempre lo stesso, superficiale, caldo, spesso decisamente camp. Ma forse siamo noi ad essere cambiati, profondamente.

L’unico colpo d’ala arriva alla fine, quando il film modifica e ribalta la conclusione del romanzo della Highsmith, lasciando aperte interpretazioni più complesse e sfumate nel rapporto tra Vic e Melinda.

Ma è davvero troppo, troppo tardi.

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