A Ghost Story – Storia di un fantasma

A Ghost Story – Storia di un fantasma ***

David Lowery, nato a Milwaukee e cresciuto in Texas, figlio di un insegnante di teologia, è uno dei più interessanti registi indie della sua generazione, parte di un piccolo gruppo di sperimentatori, lontanissimi dai cliché da Sundance, che comprende anche Amy Seimetz, Alex Ross Perry e Shane Carruth.

Talento poliedrico, che alla regia ha accostato spesso la scrittura, il montaggio, la produzione, Lowery ha avuto fortuna ridottissima nel nostro paese. Il suo esordio, St.Nick è rimasto inedito, il suo secondo film Senza santi in paradiso è arrivato direttamente in home video, nonostante la calda accoglienza alla Semaine di Cannes nel 2013.

La Disney l’ha voluto nel 2016 per Il drago invisibile, remake live action di Eliott, il drago invisibile, una delle sue animazioni minori del 1977: quello è l’unico suo film uscito nei cinema italiani, perchè anche il suo quarto film, A Ghost Story, è arrivato in Italia in questi giorni, straight-to-video, con il titolo Storia di un fantasma.

Ed è proprio in occasione di questa uscita tardiva che recuperiamo il suo film, uno dei più coraggiosi e inconsueti della stagione.

Il film recupera la coppia di protagonisti di Senza santi in paradiso, Casey Affleck e Rooney Mara. Siamo ancora in Texas, in un tempo imprecisato, ma evidentemente non troppo distante dal nostro quotidiano. Lui è un musicista. Vivono in una vecchia casa di legno nella provincia profonda. Lei vorrebbe cambiare posto e forse vita, lui sembra invece voler preservare questa sorta di isolamento creativo.

Improvvisamente però una mattina, un incidente d’auto, proprio di fronte alla loro abitazione, è fatale al protagonista. Ma la fine non è che l’inizio. Dal tavolo dell’obitorio, il corpo dell’uomo si trasforma in un fantasma e se ne va in giro, coperto da un lenzuolo a cui sono stati praticati i due buchi d’ordinanza per gli occhi.

E’ una rappresentazione semplice, infantile, ma efficacissima. Il fantasma ritorna a casa sua, osserva impassibile, il dolore della moglie, poi il progressivo allontanamento della donna da quella casa e dagli oggetti delle loro vita assieme. Passa il tempo, cambiano gli inquilini, prima una famiglia di origini sudamericane, quindi dei giovani, fino al momento in cui le ruspe non travolgono tutto, distruggendo quella casa di legno.

Ma anche questa volta, nella fine c’è anche l’inizio. Il film si riavvolge, rompe la sua continuità temporale per tornare indietro nel tempo, all’America dei pionieri, degli indiani, ricominciando tutto da capo.

Il film di Lowery è ancora più ambizioso di quanto ci si potrebbe attendere dal regista di Senza santi in paradiso: pur cominciando come una commedia sentimentale piuttosto ordinaria, il racconto diventa via via sempre più astratto, oscuro, filosofico.

Il monologo di uno dei nuovi inquilini, nel bel mezzo di una festa chiassosa, chiarisce forse l’idea di fondo del progetto, il suo tentativo di raccontare laicamente la presenza di un aldilà, in cui si rimane legati più ai luoghi che alle persone, in un’attesa infinita in cui il tempo sembra una variabile indipendente, un asse non più lineare.

I fantasmi abitano spazi familiari, quasi sempre rimanendo osservatori neutrali di nuove esistenze, in una sorta di limbo eterno, in attesa di qualcuno o di qualcosa, che non arriverà mai.

Lowery usa l’iconografia più semplice e fanciullesca, per evocare un tema tra i più insondabili e inesauribili della nostra esistenza. La portata della sua riflessione non indietreggia di fronte alla necessità di dare forma concreta a questioni metafisiche.

Il film, girato in segreto da Lowery nell’estate del 2016, è costruito con una teoria di piani sequenza, il più emblematico dei quali è quello in cui Rooney Mara subito dopo la morte del marito, ritorna a casa e divora per intero una torta.

Altrettanto sensazionale è il lungo flashback che accompagna l’ascolto da parte della donna, di una nuova composizione del marito.

Lowery che aveva usato il formato ultra-panoramico per i suoi film precedenti, ha girato invece Storia di un fantasma con un formato quadrato con i bondi stondati, perchè è il racconto di “un uomo fondamentalmente intrappolato in uno spazio chiuso per l’eternità e sentivo che la claustrofobia di questa situazione potesse essere amplificata dal formato scelto per le riprese”.

Se nella prima parte il punto di vista sembra essere quello del personaggio senza nome di Rooney Mara, poi pian piano Lowery ci costringe ad indossare il lenzuolo del fantasma, in una soggettiva sempre più rarefatta e originalissima, fino a che lo sguardo del film non sembra farsi di nuovo oggettivo, appartenendo più ai luoghi, che non ad uno dei personaggi.

Si sentono echi degli ultimi capolavori di Terrence Malick in questo Storia di un fantasma, così come La rabbia giovane sembrava il riferimento principale di Lowery per Senza santi in paradiso.  Ma tra le fonti d’ispirazione del suo film sembrano esserci anche il lavoro di Carlos Reygadas, le presenze fantasmatiche che attraversano il cinema di Apichatpong Weerasethakul e quelle assai più inquietanti dell’ultimo Assayas.

Storia di un fantasma è attraversato da un sentimento di angoscia e da un’irrequietudine che sembrano fare a pugni con il ritmo calmo, ieratico delle immagini. Il film di Lowery lascia nei suoi spettatori, altrettanto coraggiosi, un sentimento di perdita e di lutto, che difficilmente si dimenticano.

Le cronache ci raccontano che il suo quinto film, The Old Man And The Gun, tratto dalla storia vera del criminale e artista della fuga Forrest Tucker, sarà prodotto dalla Fox Searchlight, uscirà il prossimo Natale e sarà interpretato da Robert Redford, Casey Affleck, Sissy Spacek, Danny Glover, Tika Sumpter, Tom Waits and Elisabeth Moss: sulla carta sembrerebbe il punto d’incontro tra il suo sperimentalismo più sfrenato e la necessità di piegarsi a logiche produttive più tradizionali.

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