The Shape of Water è una favola ultraterrena ambientata intorno al 1962 sullo sfondo dell’America della Guerra Fredda. All’interno del remoto laboratorio governativo di massima sicurezza dove lavora, la solitaria Elisa è intrappolata in una vita di silenzio e isolamento che viene cambiata per sempre quando lei e la sua collega Zelda scoprono un esperimento segreto.
In una oscura facility governativa, chiamata Occam, dove l’agenzia compie esperimenti top secret, lavora come inserviente la solitaria Elisa: incapace di parlare, vive sopra un cinema sempre vuoto, con l’unica compagnia di un anziano disegnatore pubblicitario, Giles, licenziato dalla compagnia in cui ha lavorato tutta la vita e di una collega di lavoro, Zelda, che parla abbastanza per entrambe.
Quando nella struttura arriva un misterioso essere anfibio, che sembra uscito dagli horror anni ’50 di Jack Arnold e che l’agente Strickland ha recuperato in Sudamerica, il Dottor Hoffstetler e Zelda sono gli unici che sembrano capaci di stabilire un contatto umano con il mostro.
L’odioso Strickland invece usa con tutti la stessa aggressività violenta. La creatura vive in acqua salata e mangia solo proteine semplici e così, un uovo alla volta, Zelda finirà per innamorarsi di lui.
Del Toro usa con sapienza i toni della fiaba notturna, che gli sono più congeniali, e ambienta The Shape of Water negli anni paranoici della Guerra Fredda, tra agenti doppiogiochisti, incontri segreti, parole d’ordine e supremazia militare e spaziale.
Se il contesto è particolarmente indovinato e funziona spesso come controcanto comico al melò, grazie soprattutto ad un gruppo di caratteristi da premio, con Stuhlbarg, Jenkins e la Spencer assolutamente impeccabili, il film traballa un po’ nella scelta di un villain patologico e bidimensionale, affidato ad uno Shannon troppo prevedibile nella sua ferocia sadica.
E’ un film ingenuo e gentile quello di Del Toro, un film di sentimenti che sembra nuotare fuori dal tempo della disillusione in cui viviamo. Il regista messicano rimane fedele alla sua poetica e, dopo aver passato anni ad adattare Lo Hobbit, poi a dirigere i robottoni di Pacific Rim e quindi a tentare la strada del grande romanzo gotico ottocentesco, con Crimson Peak – fallendo tutte e tre le volte – sembra volersi accontentare questa volta di una storia semplice. Una di quelle dove i cattivi sono davvero cattivi e i buoni sono una banda di disperati, che comprende muti, comunisti russi pentiti, neri e omosessuali. Non c’è che dire, Del Toro sembra trovarsi benissimo nell’america ossessionata dalla correttezza politica.
Ed infatti i critici americani alla Mostra di Venezia e la giuria presieduta da Annette Bening l’hanno adorato.
Il rischio di apparire artificioso e sdolcinato è sempre presente, ma nel raccontare la storia d’amore impossibile tra il mostro e la protagonista, il film riesce ad evitare gli eccessi romantici, sia pure ispirandosi in modo evidente al sogno di quel cinema classico che più volte Elisa e Giles si attardano ad ammirare in televisione.
The Shape of Water è certamente il miglior film di Del Toro da Il labirinto del fauno, riprendendone in gran parte lo spirito meraviglioso e complice e utilizzando con originalità il contesto storico e politico, in cui ha deciso di immergere i suoi personaggi.
E’ però un film minimo, per cuori puri. Un po’ poco, tuttavia per uno che passa per essere tra i registi più visionari del cinema americano.
La colonna sonora di Alexandre Desplat accompagna il racconto, con il suo romanticismo senza retorica.
Il resto lo fa Sally Hawkins, espressiva e credibile, che dona al film la grazia necessaria a credere, anche solo per un momento, alla magia delle immagini.
Usa / 119’
lingua Inglese
cast Sally Hawkins, Michael Shannon, Richard Jenkins, Doug Jones, Michael Stuhlbarg, Octavia Spencer
sceneggiatura Guillermo del Toro, Vanessa Taylor
fotografia Dan Lausten, DFF
montaggio Sidney Wolinsky, ACE
scenografia Paul Austerberry
costumi Luis Sequeira
musica Alexandre Desplat
suono Glen Gauthier
effetti speciali Warren Appleby