A Beautiful Day – You Were Never Really Here ***1/2
A missing teenage girl. A brutal and tormented enforcer on a rescue mission.
Corrupt power and vengeance unleash a storm of violence that may lead to his awakening.
‘It’s a beautiful day’.
È una buona giornata. Per ricominciare. Per rimettersi in cammino. Dopo un incubo nero e allucinato, che ci ha trascinato a fondo. Un grumo di violenza e depravazione, in una New York mai così malata e perduta, che ricorda quella di Taxi Driver.
Joe è stato un soldato, poi un agente dell’FBI, ora lavora come killer a contratto, con una sua inflessibile rete di protezione. È un uomo solo, ammaccato, con il corpo e la mente segnati da troppe ferite. Si occupa prevalentemente di recuperare ragazze perdute, finite nei guai. Vive con l’anziana madre, anche lei una sopravvissuta.
Dopo aver portato a termine un ‘contratto’, Joe riceve l’incarico di salvare la figlia di un senatore, una bambina di tredici anni, Nina, rapita da una rete di pedofili.
L’unico indizio che ha è l’indirizzo di un elegante palazzo a Manhattan, con un codice per entrare e un circuito di sorveglianza, che lo protegge da sguardi indiscreti.
Con una calma metodica e una routine inflessibile, che sembrano le uniche armi, per tenere a bada i suoi demoni, Joe si avvicina alla sua missione. Solo che qualcosa va storto: il senatore muore, apparentemente per un suicidio, e la piccola Nina viene di nuovo rapita, da uomini della polizia.
Tutto il mondo di Joe va così in frantumi, la sua rete di sicurezza è esposta, i suoi affetti devastati.
Il nuovo film della Ramsay, che arriva a sei anni di distanza dallo scioccante E ora parliamo di Kevin, e’ un hard boiled completamente destrutturato, il ritratto di un personaggio enorme, tormentato, un martire che ha deciso di prendere su di sè tutto il dolore del mondo.
Tratto dal romanzo breve di Jonathan Ames, You were never really here è un piccolo capolavoro impressionista, costruito con la lentezza ieratica, necessaria a far emergere, attraverso lampi improvvisi, squarci di memorie, ricordi, suggestioni.
Il passato è un’ossessione che ritorna per Joe, il peso del sangue e della morte lo perseguita da tutta la vita, sin dall’infanzia.
Eppure dietro quella maschera impassibile, dietro quel volto gonfio e barbuto, dietro quei bicipiti enormi, c’è un uomo capace di tenerezze inaspettate: quando canta con la madre, mentre lucidano le posate in soggiono o quando accompagna uno dei poliziotti alla morte, disteso per terra.
Non siamo di fronte ad un vigilante da fumetto, ma ad un personaggio complesso, che la luce di Thomas Townend illumina come un prisma, riflettendo ogni volta una faccia diversa.
Joaquin Phoenix regala al personaggio la sua malinconia laconica e disperata, il suo sguardo liquido, racchiuso in un corpo quasi deforme, capace di rispondere, con le uniche armi che conosce, ad un mondo che ha perso la sua rotta ed in cui si può solo annegare.
C’è infatti una scena sott’acqua, che apre sostanzialmente il terzo atto del film, in cui Joe affonda come un relitto senza più vita, in un mare oscuro e verdognolo. A salvarlo è un raggio di luce che filtra nell’acqua: la sua missione non è ancora finita.
You Were Never Really Here brucia di un urgenza che lascia senza parole, lo fa con un’eleganza formale che dichiara il passato di fotografa della sua regista, che riesce ad entrare sotto la pelle dei suoi personaggi, costruiti come se fossero archetipi di una favola antica.
La colonna sonora sensazionale di Jonny Greenwooddei Radiohead, a lungo collaboratore di Paul Thomas Anderson, si inserisce alla perfezione in uno score mirabile, fatto di rumori, silenzi, passi attutiti, respiri, parole interrotte, dialoghi interiori.
Memorabile la scena dell’ingresso di Joe nella casa in cui è prigioniera Nina, con un montaggio delle immagini delle telecamere di sicurezza, accompagnate da un vecchio pezzo, Angel Baby, che stempera la crudezza della violenza, attraverso un filtro che le mette nella giusta distanza.
Altrettanto indovinato il finale, che ribalta le attese vendicative, ritrovando i due protagonisti quando tutto è già stato risolto.
La Ramsay guarda evidentemente al capolavoro di Scorsese, premiato proprio sulla Croisette quarant’anni fa, per misurare la distanza tra l’inferno di allora e la New York apparentemente ripulita di Giuliani e Bloomberg. Eppure dietro le strade linde e gli interni borghesi cova lo stesso dolore, lo stesso profondo bisogno di compassione.
L’innocenza perduta allora non è mai stata riconquistata. Ma bisogna resistere alla voglia di farla finita. Perchè anche se non c’è più un posto dove andare, dopo essere sopravvissuti alla notte, il sole torna a sorgere di nuovo.
Epocale.
CREDITS
Lynne RAMSAY – Director
Lynne RAMSAY – Script / Dialogue
Thomas TOWNEND – Director of Photography
Drew KUNIN – Sound
Tim GRIMES – Set decorator
Joe BINI – Film Editor
Jonny GREENWOOD – Music
Paul DAVIES – Sound
CASTING
Joaquin PHOENIX – Joe
Ekaterina SAMSONOV – Nina
Alessandro NIVOLA – Senator Williams
Alex MANETTE – Senator Votto
John DOMAN – John McCleary
Judith ROBERTS – Joe’s Mother
[…] | Marco Albanese @ Stanze di Cinema […]