The Search *1/2
Dopo il successo travolgente di The Artist, presentato proprio a Cannes tre anni fa ed arrivato inaspettatatamente sino agli Oscar, Michel Hazanavicious, noto in passato soprattutto per un paio di commedie di spionaggio, torna in concorso con The Search.
Lo spunto viene da un film americano degli anni ’40, Odissea tragica di Fred Zinneman, ambientato nella Germania accupata dagli alleati nel secondo dopoguerra.
Hazanavicious trasporta la storia del piccolo Hadji, nella Cecenia del secondo conflitto con la Russia, nell’inverno del 1999.
I genitori del bambino vengono trucidati barbaramente da soldati russi nella prima scena. Il piccolo di nove anni rimane solo con un fratellino in fasce. La sorella più grande è costretta anch’essa alla fuga. Hadji si mette coraggiosamente in cammino, ma deve abbandonare presto il fratello, incapace di provvedere anche a lui.
Giunge quindi in città, dove viene accolto in un rifugio per ragazzi perduti, da cui fugge però precipitosamente. Nonostante si rifiuti di parlare con nessuno, per strada incontra Carole, che lavora per la commissione dei diritti umani della Comunità europea, che lo accoglie a casa sua e cerca di instaurare un rapporto naturalmente complesso e pieno di incomprensioni.
Nel frattempo un ragazzino russo, obbligato ad arruolarsi nell’esercito dopo essere stato arrestato dalla polizia con un poà di marjiuana, impara a diventare un soldato a forza di soprusi, torture psicologiche, nonnismo e folle disciplina militare.
La sorella di Hadji, prima ritrova il fratellino più piccolo, quindi raggiunge il centro profughi abbandonato dal fratello.
La ricerca continua.
Il film di Hazanavicious nasce con le migliori intenzioni, ma precocemente vecchio, stantio, decrepito quasi.
Il tentativo di raccontare il disastro umanitario della Cecenia e i danni dell’imperialismo russo è nobile, ma per farlo non si può davvero ricorrere ad un melò hollywoodiano, reso ancor più dolciastro, dalla scelta di affidare il ruolo di protagonista alla moglie Berenice Bejo, che si cala nella parte che fu di Montgomery Cliff.
La Bejo è peraltro impeccabile, ma si trova costretta a recitare un ruolo davvero poco credibile, mal scritto, pieno di clichè e di forzature drammatiche.
Il rapporto materno che si instaura tra Hadji e Carole contribuisce a far affondare il film, che vorrebbe prendere posizioni radicali contro l’immobilismo europeo, di fronte alla violenza russa, ma che finisce per essere un racconto assai conformista e risaputo sugli orrori della guerra.
Non c’è davvero nulla di nuovo o di interessante nella messa in scena di Hazanavicious, che costruisce un film lacrimevole e convenzionale, ma mai davvero commovente, che magari andrà benissimo per il senso di colpa di qualche attempata signora di un cineforum di provincia, ma nel concorso di Cannes stona in maniera evidente.
Il dubbio che The Artist rimanga un exploit isolato, comincia a prendere forma in maniera piuttosto concreta…