Venezia 67: il primo giorno

 

La Belle Endormie di Catherine Breillat *1/2

Il film di apertura della sezione Orizzonti è una trasposizione della fiaba di Perrault nello spirito dissacrante della regista francese: la strega cattiva lancia un incantesimo sulla piccola principessa Anastasia, che è destinata a dormire per 100 anni ed a risvegliarsi adolescente. La Breillat mette in scena i sogni di una bambina, le pulsioni infantili e poi il risveglio e le pene d’amore.

La fotografia digitale di Denis Lenoir dona al film un’atmosfera distaccata, onirica, accentuata dallo stile della Breillat, che preferisce qui – in maniera per la verità un po’ pedante -lunghi piani sequenza per lo più associati ad inquadrature statiche. Non mancano i momenti surreali in un opera che vorrebbe essere femminista, ma che risulta complessivamente minore, senza ritmo e frammentata.

Una delle tante cose, che in un festival finisco per non lasciare traccia.

L’amore buio di Antonio Capuano **1/2

Ecco la prima bella sorpresa del Festival: il nuovo film di Capuano è bello, sincero, necessario e racconta con grande originalità uan storia di violenza e redenzione, senza fare sconti e senza scorciatoie moralistiche.

Dopo il bellissimo La guerra di Mario, Capuano si rituffa in una Napoli originalissima, nell’inizio folgorante di una tranquilla giornata al mare, capace di trasformarsi nell’incubo di uno strupro notturno.

Ma al regista interessando le conseguenze di quel gesto gratuito e sconsiderato. Ed è qui che il film prende quota, attraverso il montaggio alternato dei due protagonisti: lui costretto nel carcere minorile di Nisida, cerca di comprendere il senso del suo gesto, grazie ad una serie di educatori e psicologi che lo spingono a scrivere, a disegnare a realizzare piccoli oggetti di creta.

Lei, nell’apparente serenità borghese della sua famiglia, si sente invece oppressa e incapace di superare quella notte di terrore.

Neppure un fidanzato premuroso e dei genitori disp0nibili, anche se spesso assenti, riescono a farle superare il trauma sino in fondo.

Sarà il contatto da queste due esistenze spezzate a suggerire una possibilità di ricomposizione dolorosa.

Nel cast ci sono una Valeria Golino terribilmente imbruttita, Luisa Ranieri e Corso Salani, ma sono i due giovani ad imporsi con le loro facce e soprattutto con le loro voci: nella differenza della loro lingua, nella cadenza, nel modo di parlare e nei silenzi c’è il racconto di un mondo: bravissimo Capuano ad intuirlo ed a rappresentarlo.

Legend of the Fist: the Return of Chen Zen di Andrew Lau *

Il film hongkonghese riaggiorna il mito del personaggio di Chen Zen, creato per Bruce Lee negli anni ’70, in un pastiche che parte nella Prima Guerra Mondiale e finisce con l’occupazione giapponese della Cina. Eroe di guerra e poi a capo della resistenza anti-giapponese, Chen Zen sfrutta le proprie doti di atleta per salvare i suoi compagni operai dalle trincee francesi e per organizzare lo spionaggio al nuovo regime occupante.

Purtroppo il protagonista è di rara inespressività e poco credibile nei pur numerosi momenti drammatici. Nel film confluiscono suggestioni occidentali, dal film di guerra ad Indiana Jones, dal wuxia più occidentalizzato al melò americano, nel complesso poco riuscite.

Lo spirito che anima tutte queste nuove produzioni cinesi è il medesimo: ripercorrere la storia recente o antica della grande nazione, esaltando agiograficamente lotte, conquiste e spirito unitario.  Di queste opere di regime, più o meno riuscite, appaiono davvero stucchevoli e pretestuose: qui persino l’internazionale viene usata come motivetto da night club!

L’inizio brillante si diluisce in una storia di amori impossibili, tradimenti e doppio gioco, dal sapore francamente indigesto. Lo sguardo immobile di Donnie Yen fa il resto…

Machete di Robert Rodriguez **1/2

Accolto in Sala Grande dalle ovazioni di un pubblico di fans e cinefili, il nuovo film di Rodriguez, che nasce da uno dei finti trailer, che aprivano il doppio Grindhouse, è una delle sue opere più riuscite e divertenti. Ed il sottotesto politico in favore dei messicani immigrati illegalmente, superando il confine di stato, è rivoluzionario al punto giusto, da scaldare i cuori della Mostra.

Machete è un ex federale, tradito dai superiori, che ha visto la propria famiglia sterminata da un boss della droga messicano.

Tre anni dopo, immigrato clandestinamente negli Stati Uniti, viene incastrato in un complotto per un attentato ad un senatore razzista, che cerca la riconferma nonostante la caduta nei sondaggi.

Lo aiuteranno a liberarsi dalle false accuse, e a trovare la sua vendetta, una giovane poliziotta americana, un network di immigrati, guidato dalla misteriosa Shè, ed il fratello sacerdote.

Nel cast, capitanato con indomabile coolness da Danny Trejo, spiccano per presenza scenica e divertita adesione Michelle Rodriguez – Shè, Robert De Niro nei panni del senatore Mc Laughlin e Lindsey Lohan, figlia spregiudicata e poi suora assassina.

Jeff Fahey si ritaglia un altro ruolo di bad guy, come in Planet Terror, alla guida del complotto.

Il film ha qualche lungaggine di troppo, ma complessivamente appare una scelta felice, per inaugurare la sezione di mezzanotte della 67°Mostra.

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