Film di martedì 19 maggio
Tales from the Golden Age – Looking for Eric – Antichrist
Lezione di cinema con Luc e Jean Pierre Dardenne
Quest’anno la lezione è dedicata ai fratelli Dardenne, vincitori di due palme, dieci anni fa con lo scioccante Rosetta e poi con L’enfant.
Non ho mai amato i loro film e la loro messa in scena minimalista: certamente però il pedinamento dei personaggi, con la macchina a mano, è diventato una cifra di stile molto precisa e molto imitata da tutti coloro che intendono il cinema come specchio della realtà, non ultimo dal Leone d’Oro di Venezia 2008, The wrestler.
Immagini dei loro film, dai più recenti fino all’esordio, si alternano al racconto di scelte registiche e morali.
Due buone notizie: Sean Penn è in trattative con Paolo Sorrentino per il ruolo da protagonista del suo prossimo film e Tony Leung si riunirà a Wong Kar Wai per “Il maestro”.
Tales from the Golden Age ***
Quando Christian Mungiu vinse a sorpresa la Palma con 4 mesi 3 settimane 2 giorni, disse che quello era solo il primo di una serie di film sulla Romania ai tempi di Ceausescu: quest’opera collettiva a episodi nasce nello stesso spirito, quello di raccontare gli anni del tramonto della dittatura attraverso leggende, episodi, momenti comici e tragici.
Curiosamente sono stati girati sei episodi, ma il film sarà proposto nelle sale solo con cinque di questi.
Nelle diverse proiezioni, sono stati alternati gli episodi ed il loro ordine.
Peraltro, i cinque registi coinvolti non intendono rivelare la paternità di ciascuna leggenda, intendendo l’opera come pienamente collettiva.
Mungiu ha comuque scritto la sceneggiatura di tutti i capitoli e certamente, per lo stile ed il tono, sembrebbe l’autore della Leggenda del chicken driver, interpretato dallo stesso attore che prestava il volto triste e spietato al signor Bebe in 4 mesi….
Gli episodi, pur diseguali per tono e riuscita, gettano una luce ora nostalgica ora raggelante sulla propaganda di regime, la burocrazia, l’apparato, il mercato nero, con toni e stile non lontani dal migliore Kusturica.
Looking for Eric ***
Questo è il Ken Loach che non ti aspetti.
Dopo aver apprezzato ed amato le sue opere impegnate, ambientate nel presente della classe operaia inglese – e poi nel lavoro interinale – o quelle che affondano le radici nella storia del novecento, dalla Guerra di Spagna al movimento indipendentista irlandese, qui Loach si concede una commedia su un curioso postino, tifosissimo del Manchester United, e la sua famiglia disfuzionale.
Eric vive con due figli adolescenti: una terza si sta per laureare.
Ha avuto tre mogli, ma solo la prima è stata davvero importante nella sua vita e con lei sta cercando di riprendere un dialogo, interrotto bruscamente molti anni prima.
Oltre agli amici del lavoro, può contare sul supporto di Cantona, il famoso giocatore francese, che – come il Bogart di Provaci ancora Sam – si materializza nella stanza di Eric e lo spinge a migliorarsi.
Uno dei figli si mette in guai seri, con un piccolo boss locale, e rischia di trascinare con se tutta la famiglia, ma qui siamo davvero in una commedia e la soluzione sarà ancora una volta nel segno del calcio.
Loach ed il fidato sceneggiatore Paul Laverty, per una volta, sembrano essersi divertiti a mettere in piedi una storia, non priva di amarezze, ma brillante, piena di humor, leggerezza e umanità.
E la regia di Loach si dimostra perfettamente adeguata: segue i suoi personaggi, negli interni delle case di periferia, negli uffici, nei pub, finendo quasi per scomparire, per lasciare spazio ad un cast in stato di grazia.
In fondo, come diceva qualcuno, è sempre tempo per una commedia…
Antichrist **
Davanti all’ultima provocazione di Von Trier si resta comunque spiazzati, nonostante lo scandalo annunciato e le prime reazioni negative delle proiezioni stampa.
Il film, in cui i soli attori sono Dafoe e la Ginsbourg, è una dolorosa elaborazione del lutto ed una riflessione sul ruolo delle donne nella storia e nella natura umana.
Il misogino danese completa un nuovo ritratto di donna sofferente, umiliata, sull’orlo di una crisi di nervi. Ma questa volta la reazione sarà molto diversa dal martirio.
Inspirandosi ai drammi da camera di Strindberg, tanto quanto all’horror di Stephen King e ai recenti torture porn, Von Trier divide il film in tre parti Grief, Pain e Despair, con un prologo ed un epilogo, in cui il percorso di superamento delle proprie paure, compiuto da una madre che ha appena perso il proprio figlio, diviene uno scontro a tutto campo con il proprio marito e terapista.
Fino al Chaos Reigns finale, in cui la violenza prima solo verbale esplode in un campionario di atrocità degno di Eli Roth, con mutilazioni genitali, tentativi di evirazione, macine da mola infinate nelle gambe, torture sugli animali, che forse servono a Von Trier a superare una fase di profonda depressione, ma danno corpo alla suggestiva tesi, che nel corpo delle donne alberghino il male e la follia più distruttiva.
E’ difficile dire quanto ci sia di autentico nei film del danese e quanto di deliberatamente programmatico, certamente il suo cinema di eccessi visivi e narrativi contnua a dividere fortemente.
La fotografia digitale in bianco e nero ed a colori del fresco oscar Anthony Dodd Mantle è come sempre perfetta, a segnare la confusione tra ricordi, premonizioni, realtà.
La musica di Handel apre e chiude il film con un tocco di raggelante ironia.
Von Trier dedica il film ad Andreij Tarkovskij, il quale probabilmente si starà rivoltando nella tomba.
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