Ash – Cenere mortale

Ash – Cenere mortale **1/2

Il secondo film del producer, rapper e DJ Flying Lotus è un horror di fantascienza, girato per conto dei super indipendenti della XYZ films (The Raid, Mandy, I Don’t Feel at Home in this World Anymore, Brawl in Cell Block 99, The Night Comes For Us,On The Job) e poi acquistato da Amazon Prime, prima del debutto al SXSW.

Flying Lotus l’ha girato con budget zero in digitale con la celebre Arri Alexa in una ex fabbrica di porte in Nuova Zelanda, imparando a creare gli effetti speciali grazie a un tutorial YouTube: siamo insomma di fronte al più spericolato artigianato cinematografico, utilizzato per un orgoglioso e inventivo B-movie che sarebbe probabilmente piaciuto a Ed Wood.

Le premesse narrative reggono tutti i 95 minuti fino alla scena mid-credit che lo chiude con un ultimo ribaltamento.

La protagonista è Riya, una scienziata parte di una spedizione spaziale che ha l’obiettivo di trovare pianeti compatibili con la vita e colonizzabili dall’uomo.

Quando la incontriamo si è appena ripresa dal torpore, ha una ferita alla testa e le mani insanguinate. Il suo intero equipaggio è stato brutalmente ucciso, tranne la collega Clarke che manca all’appello. Riya però non ricorda più nulla. Ha perduto memoria di sé, del proprio ruolo e della propria missione. Esce infatti dalla base sulla cenere del pianeta Ash, senza casco e ossigeno e rischia subito di morire a causa dell’atmosfera irrespirabile.

Rientrata a fatica, viene raggiunta da Brion, l’astronauta che sta sulla stazione orbitale, che ha sentito il suo SOS e l’ha raggiunta.

E’ troppo tardi per scoprire cosa sia davvero successo su Ash, la base è compromessa e la finestra per ritornare alla base consentono a Riya e Brion solo poche ore ancora sul pianeta.

Grazie a dei cerotti medici, la protagonista sembra cominciare a ricordare, ma sono solo flash, sempre più inquietanti, in cui è lei che sembra uccidere uno dopo l’altro i suoi compagni. Pian piano anche i reali obiettivi della missione tornano alla mente di Riya.

Il film di Flying Lotus è un’inquietante avventura spaziale, quasi tutta girata nel chiuso della base spaziale, nei corridoi e nelle celle illuminate da neon dai colori primari rossi, blu, gialli che contribuiscono a rendere l’atmosfera allucinata della protagonista, continuamente assalita dalle memorie confuse e contraddittorie di quello che è accaduto solo poche ore prima.

La volontà di ricordare si scontra con l’orrore di quanto ricorda, in un cortocircuito continuo che spiazza.

Se le mappe narrative che il regista ha utilizzato rimandano per molti versi ad Alien, con la dimensione d’orrore che rende ancor più instabile la sopravvivenza in un ambiente per definizione ostile come un altro pianeta, qui i piani di realtà, ricordo, immaginazione e inganno – consapevole o involontario che sia – contribuiscono a rendere ancor più incerto ogni passo di Riya e il nostro di spettatori.

E’ evidente sin dall’inizio che la nostra unica àncora sia la protagonista, tuttavia il fatto che lei rivesta il ruolo del narratore inaffidabile contribuisce a creare un’atmosfera di continua tensione, accentuata sia da una regia decisamente inventiva che gioca con l’asse delle inquadrature, le dominanti coloristiche, l’assalto ai sensi di ogni horror che si rispetti e sia da una colonna sonora, curata dallo stesso Flying Lotus, che cita esplicitamente il lavoro di John Carpenter, accentuandone la dimensione onirica e industrial.

Il regista sembra conoscere perfettamente le regole d’ingaggio ed è in grado di sfruttare i cliché di genere fino in fondo o di ribaltarli del tutto, come se ci trovassimo nel miglior apprendistato del più glorioso cinema indipendente americano classico, quello della Factory di Corman, di cui questo Ash sembra un curioso reperto anacronistico.

Verosimilmente una parte del merito va condivisa con il suo direttore della fotografia, Richard Bluck, un veterano che lavorato a lungo con Peter Jackson sin dai primi anni ’90 e per tutti gli adattamenti tolkeniani, ma anche con James Cameron per Avatar, soprattutto con la seconda unità, gli effetti visivi e la camera a mano.

La credibilità dei due protagonisti, Eiza González e Aaron Paul, e l’ambiguità di quest’ultimo, che tutti ricordiamo come Jesse Pinkman in Breaking Bad, contribuiscono a mantenere il sottile equilibrio drammatico di un film che richiede una generosa sospensione dell’incredulità, ma che la ripaga con le risposte giuste alle domande che il copione di Jonni Remmler pone per quasi tutto il film.

Ash è il più classico dei guilty pleasure da sabato sera, un film che non ha vergogna di intrattenere con gli strumenti di genere, spingendo il pedale del gore e dello splatter fino in fondo se serve, un po’ come accade in The Substance, ma cercando il coinvolgimento soprattutto grazie ad un talento visivo notevolissimo, che nasconde tutti i limiti di budget con la forza delle idee.

Ed è soprattutto nella sua capacità di creare immagini nuove, inquietanti e profondamente disturbanti, che Ash appare un film molto più interessante di quanto di possa immaginare.

P.S. La cenere del titolo italiano non c’entra nulla. Ennesimo esempio di un titolo che non ha alcun senso.

Un pensiero riguardo “Ash – Cenere mortale”

  1. Mi è piaciuto molto, poi quando lei si sveglia col cadavere che la fissa sono morto dentro. Il picco del film.
    Però nell’ultimo atto il tutto si perde, troppi spiegoni

Scrivi una risposta a Austin Dove Cancella risposta

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.