A distanza di cinque anni dalla biografia di Stanlio e Ollio, lo scozzese Jon S.Baird, eclettico regista televisivo, noto in Inghilterra soprattutto per l’adattamento di Filth dal romanzo di Irvine Welsh, sceglie di raccontare la storia di uno dei giochi più amati degli anni ’80, dal punto di vista dei personaggi, coinvolti in un’intricatissima negoziazione commerciale tra Est e Ovest, alla vigilia della caduta del Muro.
Abbiamo innanzitutto il geniale Aleksej Pažitnov, un ingegnere che lavora all’Accademia delle Scienze dell’URSS nel 1984 che, ispirato dai tetramini, inventa nel suo tempo libero su un microcomputer Ėlektronika-60 un gioco che chiama Tetris e che diventa popolarissimo in tutta la Russia e nei paesi della Cortina di Ferro.
Quindi Robert Stein, un importatore di videogiochi per la britannica Andromeda Software, che scopre il gioco in Ungheria nel 1986 e decide di portarlo in Occidente. Invia un fax all’Accademia delle Scienze dell’URSS manifestando il suo interesse. La risposta neutra di Pažitnov gli è sufficiente per considerarsi autorizzato a distribuire in mezzo mondo il gioco, vendendone le licenze per computer e console.
Robert Maxwell, il magnate dei media inglesi e il figlio Kevin, proprietario e amministratore della Mirrorsoft, che acquistano da Stein i diritti europei del software.
Henk Rogers, americano di origini olandesi, che lavora a Tokyo con la sua Bullet-Proof Software e che scopre Tetris ad una fiera di Las Vegas, ne acquista i diritti per il Giappone e lo propone a Nintendo per il lancio del suo device portatile, il Gameboy.
Infine Nikolaj Belikov, il presidente della ĖLORG, l’azienda statale sovietica che gestisce il monopolio sul commercio di hardware e software. E’ lui ad accorgersi che Stein non ha nessuna vera licenza per distribuire Tetris nel mondo occidentale, mettendo i possibili acquirenti uno contro l’altro, in un’asta al buio che attira le mire di un burocrate locale, deciso a trarne un beneficio concreto e personale.
Il racconto di Baird utilizza sfondi che assomigliano agli arcade del tempo e divide il film in capitoli e scene, come se ci trovassimo all’interno di un gioco. Senza troppi fronzoli ci butta immediatamente al centro dell’azione, lasciando che sia poi la storia a delineare la psicologia e il background dei personaggi.
Il film così lascia un po’ confusi all’inizio, crescendo alla distanza, quando emergono le questioni in gioco, che sono molte e differenti: non si trattaì solo di avidità e di colpi bassi, ma anche di uno scontro tra mondi lontani, che si muovo con regole troppo diverse.
Purtroppo Baird sceglie di caratterizzare fin troppo i suoi protagonisti, spingendoli a recitare in modo quasi caricaturale, soprattutto il Rogers di Taron Egerton, sempre sopra le righe, goffo nei completi grigi anni ’80, come nei Levi’s troppo larghi.
Ma siamo pur sempre in una commedia e allora possiamo anche accettare un ritratto di Robert Maxwell & Son come se fossero usciti da Una poltrona per due, o dell’avido burocrate russo nei panni del vero villain di questa storia, in cui buoni e cattivi sono sempre tagliati con l’accetta.
Peccato che Baird abbia scelto questo registro farsesco, per raccontare invece una disputa legale assai raffinata e dai risvolti imprevedibili.
Neanche troppo sullo sfondo resta il paternalismo di una visione tutta occidentale di questa storia, in cui è il self made man Rogers il vero protagonista, capace di rischiare tutto, persino la sua famiglia, ipotecando il suo futuro, pur di riuscire ad assecondare la sua intuizione.
Un personaggio visto giusto un milione di volte. Ma non si fatica a stare dalla sua parte perchè i suoi competitor sono talmente biechi e meschini che il confronto non si pone mai.
Quanto all’onesto funzionario della ĖLORG, il suo ruolo è quello del russo buono e onesto, come nei film degli anni ’80, mentre al geniale Pažitnov non resta che interpretare la vittima, vessata e minacciata in patria, ma a cui sorride infine il sole della California.
Tutto prevedibile insomma, come in un brutto videogame.
Peccato.
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