Niente di nuovo sul fronte occidentale **1/2
“Dai il Potere a un uomo e diventerà una bestia”
Un’alba silente avvolta nella nebbia, il respiro di una volpe, in mezzo alla natura immobile ed estatica, un plongé ci accompagna sul campo di battaglia e poi nelle trincee tra cadaveri e sangue, spari ed esplosioni e, un assalto imminente, destinato a muovere solo di pochi metri il fronte occidentale.
I cadaveri dei soldati nel quartier generale, sono spogliati delle scarpe, dei cappotti, prima di finire nelle bare. Le uniformi di coloro che non ce l’hanno fatta vengono lavate e rammendate: le seguiamo fino a quando vengono consegnate con una pietosa bugia ai nuovi cadetti, a quella Gioventù di Ferro, che viene spronata con la solita orrenda retorica patriottica a non cedere alla debolezza, perchè la guerra è una partita a scacchi in cui non conta il singolo, ma lo sforzo comune.
Siamo nella primavera del 1917 e il giovane Paul Baumer raggiunge il fronte nelle Fiandre, nel 78mo raggruppamento di fanteria. Il primo assalto nemico è catastofico, il bunker in cui i soldati tedeschi si erano rifugiati, crolla su di loro.
Paul sopravvive per miracolo, ma molti dei compagni non hanno superatosuperano neppure il loro primo giorno.
Diciotto mesi dopo la guerra è perduta, Matthias Erzberger, leader della maggioranza del partito del Centro Cattolico, viene incaricato dal Reich in disfacimento di rappresentare il governo nelle trattative con il Maresciallo Foch, per la firma dell’armistizio.
Nelle ore febbrili in cui la diplomazia mette fine al conflitto, i soldati sul campo continuano senza tregua a combattere e morire senza più alcun vero motivo, se non per la vanagloria di generali incapaci di ogni pensiero. “Cos’è un soldato senza la guerra?”.
Edward Berger, cinquantenne regista di Wolfsburg, attivo soprattutto nella serialità (Deutschland 83, The Terror, Your Honor), dopo gli esordi cinematografici all’inizio del nuovo secolo, rimasti inediti nel nostro Paese, trova nel romanzo di Erich Maria Remarque del 1929 un testo potentemente antimilitarista, che adatta con una certa libertà assieme a Ian Stokell e Lesley Paterson.
Il cinema se n’era già appropriato immediatamente con la celeberrima versione di Lewis Milestone del 1930, All’ovest niente di nuovo, rimasta inedita in Italia sino al 1956 prima per il veto della censura fascista, poi di quella repubblicana che ancora nel 1953 lo vietava perchè “riproduce scene e fatti truci e di crudeltà“.
L’odissea del giovane soldato Paul Baumer diventa così una discesa nell’odio e nell’orrore della follia. Il contrappunto alterna significativamente la brutalità del conflitto all’urgenza di Erzberger nel cercare di mettere fine alle ostilità e all’ottusità del generale Friedrichs che ordina l’attacco fatale quindici minuti prima dell’armistizio.
Berger fa tesoro della lezione dello Spielberg di Salvate il soldato Ryan e di tutti i suoi epigoni, costruendo un lavoro potentemente immersivo quando si tratta di raccontare la crudeltà dello scontro bellico.
Tuttavia il suo Niente di nuovo sul fronte occidentale è capace di parentesi lontane dalle trincee, anche per Paul e suoi compagni.
L’esordiente Felix Kammerer nel ruolo del protagonista è il volto giusto per raccontare la perdita di qualsiasi identità del soldato, trasformato in una macchina di morte, priva di ogni sentimento e di ogni autonomia, convinto a farsi tutt’uno con la propria arma, in un rapporto feticistico che richiama alla mente quello insegnato dal Serg. Hartman alle reclute di Full Metal Jacket.
Il film funziona meglio nella prima parte che ci trascina in basso nel fango e nel sangue della battaglia e poi à rebours seguendo il percorso di Paul dall’arruolamento sino all’armistizio. Berger ha intuizioni felicissime come quella dell’uniforme che passa simbolicamente da soldato a soldato. Meno a fuoco la parte politica, in cui il ruolo di Erzberger rimane troppo debole e marginale, nonostante la sua centralità nella storia politica tedesca di quegli anni.
L’intento di Berger di mostrare la disparità del conflitto tra chi vive l’orrore delle trincee e chi si muove al caldo dei camini tra cene e sentenziosità ampollose, è sentito e necessario.
Tuttavia il regista non ha la radicalità del Jackson di They Shall Not Grow Old – Per sempre giovani, nè l’intelligenza e il rigore del Kubrick di Orizzonti di gloria: il suo film è un onesto lavoro di genere, encomiabile negli intenti, corretto nella forma, necessario nel suo rifiuto di ogni militarismo.
Con una guerra che insanguina il cuore dell’Europa cento anni dopo quella descritta nel suo film, Berger inevitabilmente finisce per essere trascinato nel dibattito pubblico di questi mesi, probabilmente suo malgrado.
Niente di nuovo sul fronte occidentale rimane un film tattile, materico, calato nella sua dimensione più autenticamente realista, onesto nei suoi intenti.