Cannes 2022. Un petit frère – Mother and Son

Un petit frère – Mother and Son **1/2

Il secondo film della giovane Léonor Séraille, dopo la riuscita commedia generazionale Montparnasse – Femminile singolare, Càmera d’Or nel 2017, è un melodramma dell’emigrazione lungo vent’anni e articolato in tre capitoli che prendono il nome della madre Rose e dei due figli Jean ed Ernest, che nei primi anni ’80 lasciano la Costa d’Avorio per approdare a Parigi.

Rosa ha lasciato gli altri suoi figli nel paese africano, scommettendo sul successo dei due: uno troppo piccolo per essere abbandonato, l’altro studioso e obbediente.

Rosa lavora in un albergo, dove si occupa delle pulizie. Qui conosce un tunisino a cui si lega, rifiutando le avances di un altro immigrato ivoriano, Jules Cesar.

Materna ma indipendente, incapace di piegarsi e decisa a dare un futuro migliore ai suoi ragazzi, si trasferirà con loro a Rouen, in Normandia, inseguendo le promesse di un uomo sposato e poi di nuovo a Parigi.

Nel frattempo i suoi figli diventeranno grandi, seguendo strade opposte: il fallimento di Jean, contagiato dalle insicurezze e da un senso di perenne inadeguatezza, segnerà l’allontanamento anche di Ernest, diventato professore di filosofia all’insaputa di Rosa.

Il film della Séraille è prezioso soprattutto dal punto di vista psicologico, definendo in modo originale la frustrazione e l’impotenza di chi ha vissuto la seconda generazione negli anni delle politiche più oscure e xenofobe sull’immigrazione.

E se Rosa è un bel personaggio, sempre ottimista, positivo, incapace di arrendersi, i figli subiscono invece quelli che la madre chiama malattie dei bianchi: la depressione, la malinconia, le paure.

Il film non sembra interessato a dire qualcosa sulla questione razziale, sulle politiche di accoglienza, neppure sulle dinamiche storiche e sociali, pure decisive in un lavoro che copre un arco lungo oltre vent’anni.

In realtà in Un petit frère – Mother and Son è schiacciato sempre su una dimensione personale e affettiva. Come nel bel passo di Pascal letto da Ernest secondo cui l’ansia di pensare al futuro, non consente di vivere davvero il presente, ma solo di sperare di viverlo.

Affiorano così i sogni infranti, la bellezza perduta, le speranze e le aspettative disilluse, il senso di inadeguatezza, le incomprensioni tra madri e figli.

Tuttavia da un punto di vista cinematografico, quando la Rose di Annabelle Lengronne esce di scena, il film perde qualsiasi ragion d’essere, adagiandosi su una drammaturgia minima e su una serie di eventi di cui ci importa sempre meno.

E una certa messa in scena essenziale si fa davvero minima. Il fatto che Ernest – il personaggio su cui il film si chiude e la sua voce narrante – sia interpretato da tre attori diversi e sia completamente marginale nelle parti precedenti, finisce per essere un boomerang.

La Séraille è animata da buone intenzioni, ma il film si impantana presto, sprecando le buone intuizioni iniziali e lasciando troppo sullo sfondo gli altri personaggi, ovvero gli uomini di Rosa, le ragazze e gli amici di Jean e Ernest. Come se alla fine l’unica cosa veramente importante fosse la loro famiglia minima originale.

Interlocutorio.

 

 

 

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