Pachinko – La sposa coreana: il diritto di piangere per una scodella di riso

Pachinko ***1/2

In Tokyo-Ga, film del 1985 dedicato al maestro del cinema Yasujiro Ozu, il regista tedesco Wim Wenders ammette di essersi perso, per diverse notti consecutive, nelle assordanti sale da pachinko della capitale giapponese. Wenders ipotizza che il segreto del pachinko, un gioco d’azzardo affermatosi nel secondo dopoguerra e spesso controllato dalla mafia locale, la Yakuza, dipenda dalla sua forza ipnotica e rimandi al processo di elaborazione collettiva del lutto della sconfitta. La fusione dell’uomo (o della donna, poiché il pachinko attira persone di ogni genere, età e classe sociale) con la macchina consentirebbe all’avventore di perdere il contatto con se stesso, di dimenticare ciò che si è sempre voluto dimenticare, la bomba atomica, la fine dell’Impero, l’umiliazione patita da un’intera nazione. “Ero un giocatore tra i tanti, e per questo ancora più solo, che guardava le innumerevoli biglie metalliche saltare tra i chiodi verso il fondo e solo qualche volta finire in una buca vincente”.

Perdere è la norma. Un’impercettibile torsione del piolo basta a pregiudicare la traiettoria della pallina. Tuttavia, ogni norma ha la sua eccezione. Sebbene le probabilità siano scarse, si può vincere. Il presupposto è cedere all’ebrezza della scommessa: in fondo, nessuno sa a chi tocca in sorte il colpo fortunato. La serie AppleTv+ Pachinko è costruita su questa metafora esistenziale. La gioiosa e ironica title sequence di apertura, un piccolo gioiello, esemplifica il concetto. I personaggi principali ballano in una sala da gioco, sulle note della celebre hit dei The Grass Roots, Let’s Live for Today. “Vivi il presente e non preoccuparti per il domani”.

La trama interseca vari momenti temporali in un arabesco narrativo non lineare. Nel passato si stratificano le possibilità inespresse del nostro presente e il futuro è qualcosa che si eredita. Pachinko è l’epopea di una famiglia coreana, lunga quattro generazioni. Il racconto si snoda tra il 1915, nel pieno dell’occupazione giapponese della Corea, e il 1989, anno della morte dell’Imperatore Hirohito e fase felice per l’economia del Sol Levante. “Tokyo è una città dove si fanno molti soldi ma non si ha il tempo di spenderli”, dice uno dei protagonisti della serie durante un party. A dicembre l’indice Nikkei toccò il suo massimo storico.

La vita della famiglia Kim si svolge al riparo di una locanda di Yeongdo, nei pressi di Busan. Siamo nel 1915 e da cinque anni la penisola coreana è annessa al Giappone. L’occupazione brutale genera odio e risentimento nella popolazione locale. Il primo episodio si apre con la richiesta di Yangjina una donna sciamana. Dopo tre gravidanze sfortunate, Yangjin desidera che la maledizione finalmente scompaia. Il miracolo accade. Sunja, sua figlia, sopravvive. Fin da bambina, Sunja manifesta una vivace intelligenza. La sua abilità nel pescare ostriche è sbalorditiva, benché le immersioni in apnea provochino una comprensibile apprensione nel padre, il fragile Hoonie. Sunja affina doti di resistenza che le saranno di aiuto nei tempi a venire.

Nello stesso episodio veniamo proiettati nel 1989, a New York. Solomon Baek, un giovane uomo d’affari nippo-americano, riceve una cattiva notizia dai suoi superiori. Nonostante le sue impeccabili performance, non riceverà la promozione a vicepresidente della Shiffley Bank. Solomon, per dimostrare di valere la posizione, si candida a una missione impossibile: recarsi a Tokyo per convincere un’ostinatissima immigrata coreana, ormai sola e anziana, a vendere la sua fatiscente casupola, permettendo così alla multinazionale di realizzare su quel prezioso lotto di terra l’ennesimo, lucroso affare in campo edilizio. Solomon torna così a Osaka da sua nonna, l’ultrasettantenne Sunja.

La serie è la trasposizione dell’omonimo best seller di Min Jin Lee, scrittrice nata a Seoul ed emigrata a sette anni con la famiglia negli Stati Uniti. Pachinko è autentica letteratura a prescindere da questa origine. La compattezza etica e stilistica, comune a ogni episodio, è garantita dalla sincera rappresentazione delle relazioni umane, dalla profondità delle storie personali e dallo spessore drammatico dei personaggi.

Il caso riserva a Sunja un incontro inaspettato. Colpito dalla sua bellezza, uno zainichi (termine che connota i coreani residenti in Giappone) di nome Koh Hansu, agiato mercante di pesce, si innamora di lei. L’amore è presto ricambiato. Ancora adolescente, povera e, per la diffidenza del padre verso l’istruzione impartita alle donne, analfabeta, Sunja è affascinata dai discorsi sul benessere diffuso ad Osaka, a confronto con la miseria di Yeongdo. Hansu le prefigura orizzonti di felicità che si dilatano fino all’America. Quando Sunja rimane incinta, il castello di carte crolla miseramente. Hansu le rivela di essere già sposato e, a supporto delle sue convinzioni sull’inutilità del matrimonio, sfodera una cinica visione dell’esistenza, retaggio di durissime esperienze personali. Sunja rifiuta con sdegno l’offerta dell’uomo di provvedere al bambino. Baek Isak, un pastore protestante di Pyongyang capitato per caso nella locanda, la chiede in sposa. Sunja accetta la proposta. La destinazione della coppia sarà comunque il Giappone. Hansu, offeso, profetizza per loro una vita di stenti. I due avranno un figlio, Mozasu, il futuro padrone della sala pachinko.

Il plot della serie si espande, senza debordare in digressioni superflue, e integra nel meccanismo figure all’apparenza“minori”, in realtà presenze significative e di pari dignità rispetto ai personaggi “maggiori”. È il caso di Hana, figlia di primo letto della compagna di Mozasu, Etsuko. La ragazza contatta Solomon, suo ex fidanzato, dopo un volontario allontanamento dal clan familiare. Le sue misteriose telefonate, indirizzate al numero d’ufficio di Solomon, fanno presagire una caduta agli inferi (“ora non mi puoi raggiungere, sono avvolta dall’oscurità”). Nel sesto episodio sono chiarite le dinamiche che spingono Mozasu a separare, nel 1975, suo figlio dalla ribelle Hana e a indirizzarlo dall’altra parte del Pacifico, affinché studi nella prestigiosa università di Yale. Della vita successiva di Hana, fino alla sua ricomparsa, affiorano invece solo alcune tracce, in una conversazione tra lei e Sunja. Ugualmente, conosciamo ben poco delle vicende di Kyunghee, cognata e fedele amica di Sunja. Identico discorso per Tom Andrews e Naomi, rispettivamente capo e collega di Solomon a Tokyo.Poco, eppure in una giusta misura. Questi personaggi, come altri, entrano in scena e dicono di sé non più di quanto sia necessario. Il pregio di Pachinko sta infatti nel saper introdurre fatti, volti e situazioni funzionali alla storia principale, evitando di appesantire il flusso degli eventi.

Pachinko è una storia di esilio, di violenza e di identità fratturate. “Non sarai mai uno di loro” è la sentenza di Naomi, una giapponese laureata ad Harvard, nei confronti di Solomon, il frutto di un albero genealogico complesso. “Loro”, in questo caso, sono gli americani, ma “loro” è, in generale, il pronome di un’alterità irraggiungibile. Kyunghee confessa a Sunja di “provare una paura che non va mai via”, la paura dello straniero in terra straniera, la paura di chi sopravvive in un perenne clima d’odio, la paura di chi è trattato “come uno scarafaggio” e deve sottostare al ricatto della precarietà economica e sociale. Lo stigma del razzismo accompagna le famiglie Kim e Baek nel corso dell’intero Novecento. Il viaggio in nave di Sunja e del futuro consorte, il pastore Isak, per raggiungere Osaka, pigiati come topi in terza classe, rimanda all’iconografia della nostra immigrazione, quella italiana, europea, verso le Americhe.

La forma di riscatto “occidentale”, cioè la gloria professionale, e con essa il denaro, passa da un’assimilazione forzata. Mozasu si arricchisce aprendo una sala pachinko, un’invenzione giapponese. Solomon vorrebbe scalare le gerarchie di una multicorporation, massima espressione del capitalismo finanziario. Sunja impartisce una dura lezione a Solomon. “Non è importante il successo, ma come si arriva a quel successo”.

L’estetica di Pachinko si traduce in un ventaglio di esperienze sensoriali offerte allo spettatore, favorendo una sorta di comunione empatica con i personaggi, soprattutto rispetto alle vicende di Sunja. Vi sono scene in cui il gusto (la nota ineffabile, serbata nella memoria, che solo le pietanze assaggiate nell’infanzia hanno), l’udito (la pioggia incessante sulle tegole del tetto, associabile, a distanza di anni, al rumore ossessivo delle macchine da gioco), l’olfatto (l’odore di casa impregnato nei tessuti, lavato via involontariamente da Kyunghee), non meno che la visione, aprono alla memoria e alla celebrazione del tempo perduto, o forse ritrovato. Quando l’anziana Sunja assaggia un piatto di riso bianco dall’inequivocabile sapore “coreano”, il ricordo torna alla povertà dell’infanzia, ai sacrifici della madre, alla prima cena consumata a Osaka. Essenziale, poi, è l’intreccio di suoni e di cadenze. È Solomon, in particolare, a trovarsi al crocevia di tre lingue, tre mondi, tre culture e a scontrarsi con la difficoltà di tradurre un sistema di valori in un altro.

Sentiamo la vita fluire tra le pieghe del racconto perfino nei momenti maggiormente esposti al pericolo della retorica. Il ballo liberatorio sotto il diluvio, al quale si abbandona Solomon dopo il disastro professionale della mancata firma del contratto, di per sé un escamotage banale, risulta, nel complesso, il punto terminale di una sequenza di rara forza magnetica, complice l’intelligente movimento di macchina che accompagna i personaggi. Ai piedi del grattacielo, una cover band coreana (nella realtà i Luamel, boy band dell’universo K-Pop) suona In Between Days dei Cure: è il contrappunto musicale perfetto. “Vai avanti, vai avanti. La tua scelta è presa. Vai avanti, vai avanti. E sparisci”.

“Il tuo giapponese è molto migliorato, ma ti devi impegnare se vuoi diventare uno di noi”, dice un usuraio di Yokohama al giovane Koh Hansu, nel settimo episodio, interamente focalizzato sulla figura dell’uomo destinato a diventare, qualche anno più tardi, il primo amore di Sunja. Siamo nel 1923. Koh Hansu, straordinariamente abile in matematica, riceve una proposta allettante dalla facoltosa famiglia americana presso cui lavora come precettore. È pronto a lasciare l’adorato padre, gravato dai debiti, per seguirli negli Stati Uniti? Ha appena preso una decisione quando la terra si spacca sotto i suoi piedi.

Viene qui ricostruita, in scene di notevole impatto visivo, la catastrofe del Grande terremoto del Kantō, che provocò 140.000 vittime, molte delle quali a causa dei devastanti incendi scoppiati nei centri urbani e alimentati, per un’incredibile coincidenza di eventi sfortunati, dai venti di un tifone. Catastrofe naturale e, insieme, orrore sociale: una ridda di voci incontrollate addossò agli immigrati coreani reati immaginari, delitti, stupri, sciacallaggio, avvelenamento di pozzi. Furono massacrati, a centinaia, dai nazionalisti giapponesi. Lo sguardo stupefatto di Koh Hansu, riparatosi in un carro, mentre i suoi connazionali vengono bruciati vivi in un fienile, sintetizza il terrore degli inermi dinanzi al nichilismo implacabile della Storia.

Il cast principale è composto da attrici/attori orientali, con l’eccezione di Jimmi Simpson (House of Cards, Westworld) nella parte di Tom Andrews. Lee Min-ho, cantante, modello e attore nato a Seul, superstar generazionale in patria, interpreta Koh Hansu. Jin Ha, visto in Devsdi Alex Garland, è Solomon Baek. Sunja è interpretata, secondo le età, dalla giovanissima Yu-na, da un’intensa Kim Min-ha, attrice emergente della cinematografia sudcoreana, e dalla premio Oscar (per Minari, 2021)Youn Yuh-jung.Soo Hugh (Under The Dome, The Terror), la creatrice, sceneggiatrice e produttrice esecutiva di Pachinko, coreana cresciuta negli Stati Uniti, ha dichiarato di aver esitato a leggere il romanzo. In merito alla scena del pianto silenzioso di Sunja davanti alla ciotola di riso servitole dalla signora Han, Soo Hugh ha commentato così: “quando ti ritrovi in una nazione da estranea e sei ai margini, incontrare persone come te rappresenta un’ancora di salvezza”. Pachinko è un’elegia innalzata in nome e per conto di tutti coloro che si sono guadagnati “il diritto di piangere”, gli esiliati, gli umili, gli indifesi.

Titolo originale: Pachinko
Numero di episodi: 8
Durata: tra 50 e 60minuti l’uno
Distribuzione: AppleTv+
Uscita: Tra il 25 marzo e il 29 aprile 2022
Genere: Historical Drama

Consigliato a chi: crede che l’abito faccia il monaco, pensa sia opportuno costruire parcheggi.

Sconsigliato a chi: non sa riconoscere una cravatta al primo colpo, è affezionato a un orologio d’oro.

Letture e visioni parallele:

  • Tra i libri recenti dal sapore coreano, proponiamo un’antologia di racconti: Storie d’amore dalla Corea del Primo Novecento, a cura di Benedetta Merlini, Atmosphere Edizioni, 2021;
  • A Gameunsa tre monache cercano di preservare la cucina del tempio buddista. E Wookwan Sunim è diventata una superstar. Geo Reportage: Corea del Sud, la cucina del tempio. Disponibile sul canale Arte.

Un appunto per il curriculum: “L’importante è essere bravi in una cosa sola” (Il padre di Koh Hansu).

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