Maid: pulire le case degli altri e non averne una

Maid ***

Stai cercando un’elemosina dal governo”. L’assistente sociale non è tenera con la venticinquenne Alex, scappata dal suo fidanzato Sean con una figlia di tre anni. Ogni sera Sean torna ubriaco dal bar dove lavora e alla minima contrarietà dà di matto. L’assistente sociale la squadra da cima a fondo e non vede lividi o graffi sul suo volto. Alex ammette di non aver subito una violenza fisica esplicita. Può bastare un pugno scagliato sul muro per giustificare una separazione?

Maid (“domestica”, o meglio ancora, “donna delle pulizie”) è una delle più convincenti proposte di Netflix del 2021. La storia è tratta dal bestseller Maid: Hard Work, Low Pay, and a Mother’s Will to survive di Stephanie Land. Il libro, appartenente al genere memoir, è un condensato di esperienze vissute in prima persona da chi l’ha scritto. Uno degli aspetti più qualificanti della serie è la sua capacità di evitare la retorica. Gli autori non ci spingono a provare simpatia o compassione nei confronti di Alex. Nessuno ci strizza l’occhio, chiedendo complicità, comunque inevitabile. Alex, con il suo pragmatismo tenace, antieroico, reiterato giorno per giorno, interpreta la quintessenza della libertà, declinata in un modo di essere e sentirsi profondamente americani.

Alex non ha un’occupazione da quando è rimasta incinta e sente che nessuno può aiutarla. Sean è la sua unica, precaria fonte di sostentamento. Sua madre Paula, un’artista locale hippie perennemente su di giri, vive in una roulotte con uno sgradevole compagno che ostenta un finto accento australiano. Suo padre Hank è un ex alcolizzato rinato in Cristo (come l’ex Presidente degli USA George Bush Jr), che dopo la separazione da Paula non l’ha mai cercata e ora ha una nuova famiglia. Alex è disorientata e indifesa. La gravità della situazione non viene colta dalle persone che le stanno attorno. “Lui vuole solo parlare”, la rassicurano gli amici. “Sapessi quante ne ho subite io dagli uomini”, le dice la madre. L’ottusità della legge e l’incapacità diffusa di comprendere cosa sia un abuso emotivo spingono Alex ai margini. I primi morsi della necessità materiale annunciano la vera salita. Alex ricomincia da un banale aspirapolvere.

Non c’è solidarietà di classe in Maid. All’opposto, Alex troverà un’alleata in Regina, la donna, affermata nella professione e infelice nella vita, proprietaria della prima, meravigliosa casa che la ragazza è chiamata a pulire. No, le colleghe non avvertono legami di sorta con Alex. Nulla le accomuna se non l’ingrato mestiere. Non sorge alcuna intesa contro lo schiavismo dei ricchi. La sua datrice di lavoro, che ha tutta l’aria di essere un’immigrata ispanica, risponde all’imperativo economico del margine di profitto, rivalendosi sulle sottoposte. Ogni dettaglio è riconducibile, ipse dixit, al “puro rapporto di denaro”. Alex, però, non incarna né espliciti modelli di cambiamento né un’opposizione politica al sistema. Difficile definirla un’eroina del proletariato. Alex aspira a scalare una montagna con le sue gambe, in senso tanto metaforico quanto reale.

Maid è ambientata a Port Townsend, una cittadina dello Stato di Washington famosa per le sue eleganti ville vittoriane, un retaggio di fine Ottocento. In questa cornice di antico benessere si muovono i figli dimenticati di una nazione impoverita e incarognita, l’America dell’ossicodone e dei negozi “tutto a un dollaro”, dei truffatori di provincia e dei parcheggi di Walmart “abitati” dai senzatetto. Nella serie esplode il contrasto tra il nomadismo di Alex, da una parte, e la staticità delle enormi ville vuote, dall’altra. Alex rassetta case che non si potrebbe mai permettere. La sua vita randagia segue le bizze della contingenza.

La filosofia alla base di Maid sembra essere questa: per i poveri, soprattutto se sono donne, non vi è nulla che non abbia una scadenza a termine. Impossibile programmare il futuro, impossibile immaginarsi a lungo in un qualunque luogo. È sufficiente rivendicare un principio etico minimo, quale l’integrità, per sprofondare nel caos dell’incertezza. La coerenza è un lusso per chi, a fine giornata, deve contare i centesimi nel borsellino. Ogniqualvolta Alex fa la spesa o mette benzina nell’auto vediamo in sovrimpressione il conteggio dei dollari rimasti sul suo conto corrente. Il compromesso sembra essere l’unica regola in un mondo governato da logiche maschiliste e paternalistiche (emblematico è il rifiuto di Hank di testimoniare in tribunale a suo favore).

Non è frequente incappare in una vera coppia madre – figlia in una serie tv. In Maid, invece, avviene. Il set ricalca i ruoli della vita reale: Margaret Qualley interpreta Alex, mentre Andie MacDowell, sua madre, è Paula. L’esito è brillante, nonostante l’istrionismo a tratti caricaturale di Paula, personaggio comunque nelle corde dell’attrice di Sex, Lies and Videotapes. Margaret Qualley torna alla serialità, che l’ha vista protagonista in The Leftlovers, dopo il grande salto nel cinema di Quentin Tarantino con Once Upon a Time in Hollywood. Nelle rispettive, convinte interpretazioni, è possibile leggere il riflesso delle vicende esistenziali di Margaret (genitori separati quando aveva cinque anni) e Andie (una madre alcolizzata)? Di certo, la giovane attrice, attraverso Alex, disegna una esemplare figura di donna combattente e resistente alla sorda violenza maschile, una donna mossa dall’amore per Maddy e caricata dalla rabbia. Il cattivo di turno, ma a ben vedere anch’egli una vittima, uno sconfitto, è Sean, interpretato da Nick Robinson, lo studente sedotto dalla sua professoressa in A Teacher. Raymond Ablack, apparso in Narcos dopo esperienze in serie canadesi, è Nate, una vecchia conoscenza di Alex che torna alla carica approfittando dello stato di debolezza della ragazza.

Nate è il personaggio più ambiguo di Maid, il classico nerd che “ce l’ha fatta”. Nate ha studiato duro per diventare ingegnere, a differenza di Sean, il fallito, l’ubriacone, il violento, il buono a nulla. Nate è generoso. Quando incontra Alex al molo dei traghetti alle sei del mattino, capisce che qualcosa non va. Alex ha dormito lì con Maddy, sua figlia. Le offerte di Nate crescono d’intensità, un passaggio, una colazione, un’automobile inutilizzata per consentire ad Alex di recarsi al lavoro, un tetto sopra la testa. È sincero? Sembra di sì, e forse anche i suoi sentimenti lo sono, ma il punto è un altro. Nate si trova nella condizione di poter essere sia sincero che generoso. Alex, viceversa, è schiacciata all’angolo, nella condizione di dover accettare per sopravvivere. Eppure, esiste un limite da non oltrepassare e Alex lo conosce. Si chiama dignità. Tenue, però, allo sguardo dei giudicanti, è la linea che separa la riconoscenza dall’ingratitudine. Voltare le spalle alla fortuna, per il resto del mondo, è una colpa.

Alex è colpevole se sua figlia si ammala. È colpevole di non essere stata in grado di proteggerla dal freddo e di curarla come si conviene. È colpevole se non può mandarla ad un asilo decente. È colpevole di non avere un reddito fisso. È colpevole di non poter concedere a Maddy un’abitazione senza muffa nera sulle pareti. È colpevole se offre i propri servizi sottocosto a una cliente, soffiandola così alla sua datrice di lavoro, per sbarcare il lunario in una giornata storta. È colpevole quando torna a vivere con Sean. “Quanto sono stupida”, dice a se stessa Alex dopo essere ricaduta nel buco nero della sudditanza psicologica. Le cassiere dei pochi supermercati che accettano la snap card (Supplemental Nutrition Assistance Card), caricata con i sessantacinque dollari garantiti settimanalmente dal governo, storcono il naso e chiamano immediatamente le inservienti per disinfettare il bancone. I proprietari di casa, non appena sentono nominare l’Home TBRA (Tenant-Based Rental Assistance, assegni del programma di affitto agevolato), le sbattono la porta in faccia. Perché nell’America protestante la povertà è la madre di tutte le colpe.

Nessuno può togliervi la scrittura. Voi siete giuste come le vostre parole”, rivela Alex alle altre donne ospiti del rifugio per donne maltrattate. In cerchio, ognuna racconta un momento di felicità, messo nero su bianco e, a turno, le compagne sono chiamate a dire quale dettaglio della storia sia rimasto loro più impresso. Maid innalza un inno al talento del saper scrivere. La scrittura per Alex è sinonimo di liberazione. Le dimore dei ricchi diventano le protagoniste del suo manoscritto, atto di intima ribellione e di adesione alle sue passioni mai sopite (il suo libro preferito è L’amore è un cane che viene dall’inferno di Charles Bukowski). La testimonianza letteraria delle sue peripezie, tra frigoriferi da svuotare e bagni indecenti da scrostare, le consentirà di accedere al grande sogno della borsa di studio presso l’Università di Missoula, la città sfondo del romanzo In mezzo scorre il fiume di Norman Maclean, da cui Robert Redford trasse il celebre film. Ogni interno borghese ha i suoi segreti inconfessati. C’è la casa a luci rosse (Porn House nell’originale) e c’è quella triste (Sad House). E poi la casa di “Barefoot Billy”, che sembra il frutto di un incubo notturno di Stephen King, dove Alex prende consapevolezza del motivo dei suoi attacchi di panico.

In Maid non mancano passaggi quasi sovrannaturali, ad esempio quando Alex si unisce misticamente con la foresta che circonda Port Townsend. Sono sottili richiami al trascendentalismo americano, un filo rosso che conduce al pensiero di Henry David Thoreau e alla letteratura di Jack London. La serie presenta qualche sfilacciamento narrativo, le divagazioni non necessarie sulle app di appuntamenti e la figura un po’ sfocata di Hank, gli accenni incompiuti alle simpatie naziste della megera dei boschi e la forzatura sul parallelismo tra la facile maternità di Alex e quella disperata di Regina. Maid, nel complesso, è una serie irresistibile, ben congegnata dai suoi autori anche sul piano della tracklist dei pezzi musicali (con una preponderanza di brani di Sharon Van Etten, cantautrice apprezzata da sua maestà David Lynch), interpretata con magistrale sobrietà da Margaret Qualley e dal messaggio terribilmente attuale. La violenza psicologica contro le donne è equiparabile, per disonestà e squallore, a quella fisica.

Maid è anche un piccolo trattato sull’importanza della volontà individuale nella trasformazione del sé e sulla centralità del lavoro quale strumento di emancipazione. “Trecentotrentotto bagni puliti, sette tipi di sussidi governativi, nove traslochi, una notte alla stazione dei traghetti e l’intero anno della vita di mia figlia”. La grande M piantata in cima alla collina di Missoula, la meta di Alex, è al contempo la M di Maddy, e di Madre.

Titolo originale: Maid
Numero di episodi: 10
Durata ad episodio: tra 47 minuti e un’ora l’uno
Distribuzione: Netflix
Data di uscita: 1 Ottobre 2021
Genere: Drama

Consigliato a chi: nasconde una scultura imbarazzante in cantina, ha avuto un pony per amico, si rasserena fissando un quadro appeso.

Sconsigliato a chi: ha i corridoi intasati dagli scatoloni, non si diverte alle feste di compleanno, non presterebbe mai un maglione di cachemire.

Letture parallele:

La degenerazione del mondo del lavoro contemporaneo nel romanzo sperimentale di una grande scrittrice cilena: Diamela Eltit, Manodopera, Alessandro Polidoro Editore, 2020.
Gli interni delle case sono la biografia di chi le abita e la letteratura è la chiave per comprenderne i cambiamenti nel corso del tempo: Michele Perrot, Storia delle camere, Sellerio, 2011.

Un oggetto: l’aspirapolvere Dyson.

Un colore: il rosso.

Da un articolo di Stephanie Land: “Così ho cominciato a guardare tra le carte anziché stracciarle. Andavo a scovare i segreti nei comodini, le storie sepolte sotto il Sogno americano. Cercavo nei nascondigli le bottiglie piene di vino e sbirciavo negli armadietti delle medicine. Contavo quante pillole prendevano nell’arco di due settimane e imparavo quali prescrizioni mediche si traducevano in momento di svago. Ho trovato pillole per qualsiasi cosa: dolore, ansia, insonnia, depressione, impotenza, allergie, pressione alta, diabete. C’erano anche altri medicinali. Il mio preferito: una pomata topica al testosterone…”. (https://www.vox.com/2015/7/16/8961799/housekeeper-job-clients)

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