Mona Lisa and the Blood Moon **
Terzo film per l’inglese di origini iraniane, Ana Lily Amirpour, che torna al concorso veneziano con un’avventura tutta notturna, in una New Orleans mai così perduta e impersonale.
Tutto comincia in una notte di luna piena, nell’istituto psichiatrico in cui Mona Lisa Lee è rinchiuso da oltre dieci anni. Tre tentativi d’adozione falliti, completamente catatonica, forse a causa degli psicofarmaci, improvvisamente si risveglia con poteri paranormali eccezionali.
Riesce a governare la mente degli altri: fugge così dallla struttura in cui è rinchiusa in camicia di forza, incontra un dj gentile, Fuzz, che si offre di acquistarle Cheez Puffos e una soda e in cambio di un bacio le cede la sua maglietta psichedelica.
Un poliziotto di colore di New Orleans è sulle sue tracce, ma quando la rintraccia, Mona Lisa lo costringe a spararsi ad una gamba, continuando imperturbabile la sua fuga.
Ad un diner incontra Bonnie Bell, una pole dancer, che ha un figlio di dieci anni, Charlie, che ha dovuto imparare in fretta a cavarsela da solo.
Quando Bonnie scopre i poteri di Mona Lisa, la utilizza per convincere i clienti a consegnarle i loro soldi e per qualche altro colpo ai bancomat cittadini.
Nel frattempo tra Mona Lisa e Charlie nasce una complicità che li spinge alla fuga quando la protagonista si rende conto che l’amicizia di Bonnie è solo utilitaristica.
Il film della Amirpour è un’avventura di liberazione, che non ci dice molto sul passato e sul futuro dei suoi personaggi, ma li racconta in un qui e ora che è debitore di un certo cinema anni ’80, notturno e surreale.
Inutile porsi tante domande, quanto godersi l’avventura di Mona Lisa, dalla cintura di forza al volo notturno verso la luna rossa che compare nel titolo.
Il mondo che attraversa è quello di un’America marginale, che non conta, che raccoglie i biglietti da un dollari sul palco o spaccia qualche pasticca per sopravvivere. Un mondo fatto di drugstore, night club, diner aperti 24/7. Un mondo di pizze fredde nel cartone e presidenti buffoni alla tv.
La Amirpour costruisce un viaggio nella notte pieno di insidie, ma in cui vige una sorta di solidarietà tra emarginati, che consente a Mona Lisa di cavarsela nonostante tutto.
Anche il poliziotto che le dà la caccia ha il volto rassicurante di Craig Robinson.
Gli unici veri villain sono quattro cafoni con un SUV, clienti del Panty Drop dove lavora Bonnie: sono le prime vittime di Mona Lisa, machos della peggior specie e sono decisi a prendersi una rivincita feroce.
Ma il film della Amirpour non sembra essere un lavoro a tesi, intenzionato a titillare facili suggestioni di genere.
E’ piuttosto un film lisergico, sulla libertà riconquistata, sull’autodeterminazione, attraversato da musica techno (c’è anche una versione irriconoscibile di Odio l’estate di Bruno Martino) e metal, che racconta di una eroina improbabile, costretta a confrontarsi con un mondo sconosciuto, non sempre ostile come crede.
La Amirpour ha dichiarato: “Crescendo in America, ho sempre avuto la consapevolezza di essere un outsider. Venendo da un altro luogo e parlando una lingua diversa, è stato difficile ambientarmi. Nei miei film l’antagonista assoluto è il sistema, il modo in cui ci costringe ad assumere certi comportamenti, incidendo sulla visione che abbiamo gli uni degli altri e sul nostro senso di appartenenza a un luogo”.