Il gioco del destino e della fantasia

Il gioco del destino e della fantasia ***

Tre piccole storie, tre episodi comuni, in cui il caso e l’imprevisto giocano un ruolo decisivo. Tre capitoli costruiti con un’ economia di mezzi stupefacente, che fa dialogare semplicemente i suoi personaggi. Un atto di fiducia umanissima nella forza della parola, capace di cancellare qualsiasi struttura drammatica convenzionale.

Il nuovo film del giapponese Hamaguchi Ryusuke, Orso d’Argento alla Berlinale a febbraio, precede di pochi mesi Drive My Car, in concorso a Cannes e premiato giustamente per la sceneggiatura.

La sua carriera ha preso una svolta decisiva nel 2015, grazie al fluviale Happy Hour, premiato a Locarno e girato con attori non protagonisti durante un workshop. Nel 2018 Asako I & II approda sulla Croisette e l’anno scorso Hamaguchi scrive per il suo ex professore Kiyoshi Kurosawa, Wife of a Spy, Leone d’Argento a Venezia nel 2020.

La forza del suo lavoro risiede soprattutto nella qualità sensazionale della scrittura, nella sua naturalezza, che si impone su una messa in scena semplicissima, lineare, al servizio dei suoi interpreti, che sembra sparire, ma che è invece intelligentemente discreta e significante.

Questa volta Hamaguchi non si affida a Murakami e Cechov, fonti d’ispirazione del successivo Drive My Car, ma adatta tre suoi racconti brevi che formano i tre capitoli de Il gioco del destino e della fantasia.

Magia o qualcosa di meno rassicurante, racconta di una modella, Meiko e di una sua amica truccatrice, Tsugumi: tornando a casa in taxi dopo uno shooting, si raccontano confidenze amorose. Gumi ha conosciuto un giovane manager e probabilmente si è innamorato di lui, dopo una lunga giornata trascorsa assieme.

Quella sera stessa Meiko va a trovare il suo ex ragazzo, Kazu, che ha riconosciuto nel racconto di Gumi: è lui l’oggetto del desiderio dell’amica.

Solo che tra Meiko e Kazu, nonostante i due anni trascorsi dal tradimento che ha messo fine alla loro storia, i rapporti sono ancora carichi di tensioni e di non detti.

In Porta spalancata Nao, una studentessa che si è iscritta tardi all’Università, già sposata e con una figlia, tradisce il marito con un giovane compagno di corso, che il professor Segawa ha bocciato.

Quando Segawa vince un prestigioso premio letterario con un romanzo assai esplicito, Nao accetta di tendere una trappola al professore per conto del suo amante, desideroso di vendetta.

Il dialogo con il professore si rivelerà tuttavia assai più profondo e intimo, vanificando il piccolo imbroglio seduttivo ipotizzato. A cambiare tuttavia il destino di tutti sarà una mail inviata ad un indirizzo sbagliato.

Infine in Ancora una volta, si ipotizza che un virus informatico abbia riportato il mondo offline. Al termine di una riunione di ex allievi di una scuola superiore di provincia, una ingegnere informatico che non ha più un lavoro dopo il bug universale, sembra riconoscere in una donna la sua compagna di un tempo, di cui aveva perso le tracce dopo essersi trasferita all’università di Tokyo.

In un primo momento le due donne sembrano davvero riprendere il filo di un discorso interrotto molti anni prima. Ma poi la casalinga confessa candidamente di non sapere chi sia l’altra, di essere andata ad un’altra scuola superiore. Nonostante l’incontro del destino sia in effetti un incontro mancato, le due donne accettano di recitare l’una per l’altra, il ruolo desiderato, facendo emergere malinconie e desideri, rimpianti e delusioni.

In tutti e tre i capitoli il destino sembra giocare un ruolo importante nella vita dei protagonisti, ma non c’è nulla di realmente felice o giocoso nella grande ruota del caso: incontri che non avrebbero mai dovuto avvenire, mail inviate per sbaglio che creano equivoci irrisolvibili, riconoscimenti errati che riaprono ferite mai rimarginate completamente.

Tuttavia Hamaguchi da vero umanista non lascia al destino l’ultima parola, ma mostra come sia sempre la volontà a piegare di nuovo la storia, a rendere sopportabili anche il sacrificio e il dolore. Ma come nella tradizione del kintsugi, le linee di frattura rimangono in evidenza, a segnare per sempre una rottura che si può rimarginare, ma non nascondere.

Hamaguchi ha detto che l’incontro con i film di Cassavetes l’ha trasformato nel regista di oggi e non è difficile credergli, perchè i suoi attori e i suoi personaggi vibrano della stessa intensità, se non delle stesse nevrosi: le culture sono diverse, ma rimane una matrice simile, che cerca nel volto e nella parola una verità poetica, capace di connettere schermo e platea, come in quel significativo sguardo in macchina del professor Segawa posto proprio a metà, in uno dei momenti chiave del film, quando l’inganno lascia il posto alle parole più compassionevoli che il maestro riserva all’allieva.

Grazie ad una scrittura di rara sensibilità, Hamaguchi costruisce così un trittico sentimentale, che vibra di malinconie sopite e nuovi desideri.

Non inganni la ordinarietà delle storie e la quotidianità degli incontri: nell’aparente semplicità si cela un universo di complessità, sfumature, suggestioni che restano con te, anche quando le luci della sala si riaccendono.

Nei cinema dal 26 agosto grazie a Tucker Film, che a fine settembre lancerà anche Drive My Car.

Da non perdere.

 

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