Watchmen: emozione e pensiero si fondono in una delle migliori serie dell’anno

Watchmen ****

Ci siamo trovati con il volto all’insù a guardare un equilibrista che camminava su di un filo sottile, sospeso nel vuoto.  Siamo rimasti per due mesi a fissarlo, qualcuno con la bocca aperta, qualcuno con i denti serrati, altri con le mani già pronte a coprire gli occhi. I più emotivi tra noi  hanno abbassato lo sguardo in diverse occasioni  per paura di vederlo cadere.

“Ma chi glielo ha fatto fare?”
“Cade”
“No, non cade”
“Sì, ma se continua così … sta andando troppo lentamente”
“E’questione di un niente”

Ci siamo lasciati al termine del primo episodio con la sensazione di essere di fronte ad un’opera potenzialmente straordinaria, ma che avrebbe potuto perdersi facilmente ed in egual misura far perdere allo spettatore il desiderio di continuare la visione. Da un momento all’altro il nostro equilibrista poteva sfracellarsi al suolo. Bastava esagerare con gli ammiccamenti al fumetto, dilatare i momenti surreali e distopici, perdersi nella noia del politically correct o in un freddo intellettualismo elitario per rovinare tutto. Era sufficiente non dedicarsi ai personaggi minori in modo efficace, magari puntare tutto su Angela e pensare che  bastasse scommettere su di un cavallo vincente per far saltare il banco. Del resto il nostro castello di sabbia avrebbe potuto sfaldarsi per un difetto strutturale: non riuscire a sintetizzare le molteplici o i diversi piani temporali. Un niente e … puf, tutto sarebbe crollato e ci saremmo ritrovati a parlare di una serie bella, ma inconcludente; spettacolare, ma evanescente, emozionante, ma senza cuore.

Fino al sesto episodio le scommesse erano aperte e l’esito ancora incerto.

Poi sono arrivati gli applausi del pubblico, scoppiati fragorosi ben prima dell’arrivo, quando l’equilibrista era ancora sospeso nel vuoto. Dopo A god walks into Abar, straordinaria storia d’amore tra un semi-dio ed una donna, qualcuno ha iniziato ad applaudire: non si sa chi, ma si sa perché. Il nostro equilibrista infatti aveva appena realizzato un episodio auto concluso degno di essere presentato come oggetto di analisi per quanti studiano la serialità dei nostri giorni.

Ricapitoliamo velocemente il percorso del nostro equilibrista,  senza ripetere l’inquadramento della vicenda che trovate nella nostra recensione del primo episodio, It’s summer and we’re running out of ice.

Abbiamo seguito le indagini sulla morte del Capo della polizia, Judd Crawford condotte da Angela in modo informale e dall’Agente Blake in modo ufficiale per l’FBI, accompagnando le due donne sempre più vicino alla verità: ciascuna arriva ad identificare con precisione i confini della cospirazione del Settimo Cavalleria e di quanti la sostengono nelle istituzioni. L’agente Blake viene catturata dai suprematisti bianchi, mentre Angela, dopo aver superato l’overdose di un farmaco che fa tornare i ricordi repressi, torna dal marito e gli fracassa la testa per poter estrarre una piccola macchina che ha il potere di limitare la memoria. Senza questa interferenza, Cal perde la propria forma umana e torna ad essere il Dr. Manhattan, consentendo così lo straordinario dialogo tra i due che occupa l’ottavo episodio e che racconta la loro storia d’amore, fino al tragico epilogo. Cal-Dr. Manhattan infatti viene teletrasportato dal Settimo Cavalleria grazie ad un cannone a tachioni. Il progetto degli incappucciati con la maschera di Rorschach è quello di ucciderlo, prendere i suoi poteri e quindi conquistare il mondo.

Chi potrà fermarli?

In attesa di capire se Angela riuscirà e come ad essere decisiva nel tentativo di salvare Cal-Dr. Manhattan, vediamo come sono posizionati gli altri pezzi sulla scacchiera. Veidt è confinato in prigione per aver cercato di lasciare il mondo utopico creato su Europa, una delle lune di Giove, dallo stesso Dr. Manhattan.  Sembra pronto a tornare sulla Terra: dopo otto episodi di marginali apparizioni si prepara a rientrare in gioco per il gran finale. Gli altri attori in campo in grado di bloccare il piano del Settimo Cavalleria potrebbero essere Giustizia mascherata, ovvero Will, il nonno centenario di Angela, e l’imprenditrice Lady Trieu, brillante come Veidt e come lui convinta di essere l’unica persona in grado di salvare il mondo. Il suo progetto di grande orologio nasconde qualcosa di misterioso che certamente avrà un ruolo nello scioglimento finale.

Una citazione anche per Specchio che è scomparso dai riflettori dopo l’irruzione di un commando di terroristi nel suo nascondiglio, alla resa dei conti si rifarà vivo ed il suo aiuto farà comodo ai nostri super eroi.

Il finale riserva ulteriori sorprese che non vogliamo svelarvi: alla fine la storia ci riporterà dove tutto ha avuto inizio, cioè  nel cinema di Tulsa, con Will che ricompone l’ordito della propria vita, tessuta tra la memoria dei fatti del 1921 ed il mondo di oggi, tra la memoria della madre e lo sguardo finalmente affettuoso della nipote Angela.

Un cerchio perfetto che è simile a quello che il Dr. Manhattan ha pensato per Angela.

In una vicenda così ricca il rischio era quello di non riuscire a dare sostanza ai personaggi minori, ma la sceneggiatura è riuscita a sfruttare al meglio la storia di ciascuno per sviluppare temi nuovi, ma anche per ricostruire le vicende raccontate nel fumetto di Alan Moore e Dave Gibbons. Non tutto si capisce subito, ma se si ha la pazienza di perseverare nella visione, viene a delinearsi un quadro complessivo nitido che trascende la definizione di sequel. Il tempo viene esplorato in tutte le sue dimensioni e anche le vicende dei singoli eroi mascherati vengono riprese e raccontate nuovamente, con freschezza e taglio personale, senza mai perdere la bussola indicata dalla graphic novel.

Ad esempio i ricordi di Specchio si intrecciano con il momento decisivo per la storia dell’umanità in cui un calamaro gigante cade dal cielo, uccidendo circa 3 milioni di persone, ma anche evitando lo scoppio di una guerra nucleare.  Questa scelta permette non solo di raccontare un momento cruciale per capire il presente, ma anche per decifrare il disagio di Specchio e più in generale della società americana. L’idea di un trauma inaspettato ed imprevedibile rimanda all’11 settembre e la paura che la società vive, nell’oggi fatto di piogge di calamari e di rifugi sotterranei per difendersi da un possibile ulteriore attacco degli alieni, a quella del terrorismo.

La quinta puntata, Little fear of lightning è straordinaria nel mischiare Storia e storie in un racconto che descrive la solitudine di un uomo, Specchio e contemporaneamente quella di una società. Il personaggio del nonno di Angela, Will alias Giustizia Mascherata ci permette invece di veder rappresentate le discriminazioni razziali presenti nella società americana attraverso i secoli,  anche nelle istituzioni dove permangono connivenza e disinteresse, se non aperta collaborazione con i razzisti. La cerimonia di presa di servizio con il distintivo consegnato da un tenente di colore spiega molto più di un trattato di sociologia cosa vuol dire essere meno uguali degli altri pur all’interno della stessa istituzione.

Alla fine di questo straordinario viaggio immersivo nel palato dello spettatore permangono diversi piaceri: uno di tipo estetico per la qualità della visione ed uno di tipo intellettuale per la ricchezza di significati e di letture che l’opera propone. Un terzo piacere è riservato agli appassionati di Watchmen, a quelli che hanno divorato il mondo creato da Moore e Gibbons, nelle sue varie forme: per loro come Damon Lindelof sia riuscito a dissezionare e riconfezionare un universo narrativo, con citazioni e trasformazioni, risulterà un’ulteriore fonte di godimento. Detto questo ci sentiamo di ripetere quanto scritto al termine del primo episodio e cioè che anche chi non ha familiarità con il fumetto può immergersi in questo mondo ucronico.

La serie ripropone il repertorio dei temi cari a Lindelof: il trauma collettivo, il senso di spaesamento del singolo che si trova senza solidi punti di appoggio, il sapore di una metafisica svuotata di contenuti religiosi, il gioco temporale, basato su frequenti salti avanti e indietro nel tempo, la non linearità dello sviluppo narrativo. Lindelof in questa serie riesce a superare la divisione tra passato presente e futuro in un vertiginoso dialogo tra Mr. Manhattan ed Angela che di fatto occupa tutto l’ottavo episodio.

Lo spaesamento dello spettatore è pari a quello dei protagonisti perché al pari di loro egli non è onnisciente, ma deve seguire le briciole di mollica seminate qua e là dall’autore per cercare di immaginare, ricostruire, ipotizzare, collegare. Il coinvolgimento dello spettatore è quindi determinante e la fragilità delle supposizioni porta molti a sentire la necessità del confronto, anche attraverso la creazione di comunità virtuali come quelle che abbiamo visto crescere per  Lost o per The Leftovers.

Se lo show è così efficace molto dipende dalla qualità e dalla disponibilità del cast che ha sposato il progetto di Lindelof e le sue annotazioni di sceneggiatura senza esitazioni. La critica è concorde nel sottolineare il valore  dell’interpretazione di Regina King:  la sua Angela è la protagonista indiscussa e sul volto di Regina passano tutti gli snodi principali, emotivi e narrativi, della vicenda. Di altissimo livello è stata anche la performance di Tim Blake Nelson nei panni di Specchio, con quella cadenza biascicata e quel senso di solitudine post-traumatica che trasuda da ogni gesto. Pur nei limiti del personaggi, meno articolati a livello emotivo, anche Jean Smart (Laurie Blake) e Jeremy Irons (Adrian Veidt) ci hanno convinto: ad entrambi va dato atto di essersi immedesimati con i caratteri rappresentati in modo essenziale.

Sicura e decisa la regia di Nicole Kassel che si è ispirata a Blade Runner e ai film sci-fi per le scene d’azione, ma che ha avuto la capacità di rendere la rappresentazione sempre coerente con il mondo del fumetto.  La Kassel, regista di altre serie come Westworld (una delle più vicine a Watchmen), rende con efficacia sia le scene d’azione che quelle sentimentali, senza mai perdersi nel virtuosismo fine a se stesso. Un elemento che riprende uno dei meriti più rilevanti delle tavole di Gibbons, alieno dall’estetizzazione fine a se stessa.

Nel corso dei nove episodi che compongono lo show siamo stati accompagnati da una colonna sonora estremamente eterogenea, capace di spaziare da sonorità elettriche a musica classica, da sdolcinate canzoni d’amore degli anni ’50 ad un aggressivo sound contemporaneo, sempre fornendo supporto alla rappresentazione.

Anche la fotografia si è messa al servizio del racconto, prediligendo tinte scure e soluzioni ad effetto, ma sempre in accordo con la scelta registica preponderante di una lente bifocale  che tiene a fuoco tanto il primo piano quanto lo sfondo, conferendo all’insieme profondità ed articolazione.

Il nostro equilibrista è quindi arrivato al termine del suo percorso raggiungendo l’obiettivo fissato e ricevendo l’applauso convinto del pubblico pagante: una media di spettatori superiore ai 7 milioni, la più alta per una nuova serie Tv tra i canali via cavo nel 2019.

Questo porterà la produzione a valutare l’opportunità di una nuova stagione dello show?

Non lo sappiamo, ma di certo è valsa la pena di restare con gli occhi al cielo per questi due mesi di programmazione.

Titolo originale: Watchmen
Durata media episodio: 60 minuti
Numero degli episodi: 9
Distribuzione streaming: HBO – Sky Atlantic
Genere: Crime, Drama

Consigliato: a quanti amano i personaggi tormentati e che sanno guardare oltre la maschera.

Sconsigliato: a quanti non amano le storie intricate ricche di salti temporali e che in generale hanno poca pazienza verso i supereroi e le ucronie.

Visioni parallele:

L’universo di Watchmen è ampio e frastagliato a testimonianza dell’importanza che questa graphic novel  ha avuto nella storia della cultura popolare americana. Tralasciando quindi il fumetto di Moore e Gibbons del 1986 vi proponiamo di leggere il suo proseguimento, Before Watchmen realizzato da Michael Straczynski e disegnato da Adam Hughes. Un’ottima lettura soprattutto per quanti amano il personaggio del  Dr. Manhattan. In questa graphic novel il suo procedere per tentativi, il suo trovarsi disorientato dalle infinite possibilità avvicina il super-uomo ai suoi lettori. Per arrivare alla versione del personaggio data da Lindelof questo passaggio è rilevante.

Un’immagine:  la variate di Lindelof potremmo chiamarla. Un uomo si sostituisce a Dio per fermare una guerra nucleare e salvare il mondo? Bene. Poi fa qualcosa di analogo una seconda volta. Bravo. Sì, Ozymandias sei davvero l’uomo più intelligente del mondo, anche se un po’ narcisista. Forse dovremmo ringraziarti. Ma, detto questo … “io ti dichiaro in arresto”. Firmato Agente  Blake.

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