Edward Snowden, soldato, poi analista della CIA e contractor della NSA, vive da tre anni a Mosca, dopo che gli Stati Uniti hanno revocato il suo passaporto a metà di un viaggio che avrebbe dovuto condurlo in Sudamerica.
Nel giugno 2013 mentre era nascosto ad Hong Kong, rivelò alla documentarista Laura Poitras e ai due giornalisti del Guardian, Glenn Greenwald e Ewen MacAskill i programmi di spionaggio di massa e raccolta indiscriminata di dati, email, conversazioni private e social, messi in atto dalle due agenzie d’intelligence, non solo all’interno degli Stati Uniti, ma nel mondo intero.
Nonostante i vertici di CIA e NSA avessero negato persino davanti al Congresso l’esistenza di tali attività, in realtà, anche grazie al talento di Snowden, avevano messo in piedi un’architettura di software talmente pervasiva e diffusa, da ledere palesemente ogni limite costituzionale e ogni principio di autodetermianzione e sovranità nazionale.
E’ la Guerra Fredda aggiornata alla tecnologia del terzo millennio, ma se persino un tranquillo patriota come Snowden non schierato politicamente e non affetto da manie paranoiche o complottiste si è posto il dubbio sulla legittimità e sulle potenzialità distorte del suo utilizzo, allora anche la scusa della lotta al terrorismo globale non regge più.
Oliver Stone, uno dei pochi registi politici che ha continuato a lavorare sulle fratture della storia recente del suo paese, è dovuto ricorrere a capitali esteri per finanziare il suo film su Snowden.
Nonostante il documentario della Poitras, CitizenFour si sia guadagnato l’Oscar e la stampa liberale abbia supportato le rivelazioni del whistleblower, tanto da spingere il Presidente Obama a porre dei limiti all’attività delle sue agenzie, il nome dell’analista è ancora materia incandescente, una ferita aperta, evocata persino nel corso dell’ultima campagna elettorale.
Snowden si pone come un perfetto compendio al documentario, raccontandone in parte il dietro le quinte e mettendo in scena altresì il percorso umano, che ha condotto il giovane analista ad esporsi in prima persona, mettendo a repentaglio la sua vita e i suoi affetti.
Il film comincia ad Hong Kong, nella stanza d’hotel in cui Snowden incontra la Poitras e Greenwald, ma poi si riavvolge indietro di dieci anni: ritroviamo il protagonista nell’esercito, ai tempi delle Guerre in Medioriente. La giovane recluta viene tuttavia congedata dopo un grave incidente e il suo talento informatico viene utilizzato dalla CIA, perchè si può essere utili al proprio paese anche dietro ad una scrivania.
Snowden viene da una famiglia di soldati ed è un repubblicano ortodosso. Ma proprio mentre comincia a lavorare per la CIA, conosce su internet Lindsay Mills, un’aspirante fotografa, che diventerà la sua compagna di una vita, che lo spinge a mettere in discussione le verità ufficiali e l’infallibilità del Governo.
Snowden passa dal Maryland a Ginevra, guadagna bene e si distingue, entrando nelle grazie di Corbin O’Brian, il capo degli addestratori dell’agenzia e uno dei pezzi grossi dell’establishment.
Nel frattempo il suo mentore, il tecnico Hank Forrester, gli mostra quanto può essere frustrante cercare di cambiare il sistema dall’interno.
Corbin spinge Snowden in territori che il mite Edward non avrebbe mai pensato di frequentare. Dopo essersi dimesso dalla CIA, Snowden lavora da privato per la NSA, prima in Giappone, poi alle Hawaii, contribuendo a mettere a punto un sistema ancor più pervasivo di raccolta dati e spionaggio di massa.
La misura tuttavia è colma…
Il film di Stone si mantiene in costante equilibrio tra le esigenze drammatiche del racconto e la necessità di non indulgere nella retorica dell’eroe, solo contro tutti.
Nonostante sia considerato un regista senza mezze misure, Stone invece riesce a restituire tutta la complessità del carattere di Snowden, la sua mitezza, le sue incertezze, senza mai usare facili scorciatoie.
La parte familiare e il rapporto con Lindsey è certamente l’anello debole di un film per converso decisamente indovinato nei toni e nelle interpretazioni. Stone non è mai stato molto abile nella costruzione dei personaggi femminili e anche qui non fa eccezione, mentre invece, ancora una volta, è il complesso rapporto con le figure paterne, reali o sostitutive, a creare il conflitto necessario al racconto.
E’ infatti il minaccioso Corbin a spingere Snowden a mettere in discussione la sua devozione all’agenzia. E’ lui che, abusando della tecnologia e del potere che gli è concesso, mostra al protagonista la deriva perversa di strumenti così pervasivi.
Grazie all’equilibrio e alla sobrietà dell’interpretazione di Joseph Gordon Levitt, volto simpatico e comune, perfetto per il ruolo dell’antieroe, Snowden evita di sposare una visione troppo manichea e paranoica, nonostante l’idea di Stone coincida con quella della sua fonte: i danni collaterali della guerra combattuta attraverso la tecnologia non sono meno devastanti di quelli lasciati sul campo dalla violenza delle armi.