Venezia 2016. Una vita

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Una vita **

Normandia, 1819. Quando ritorna a casa dopo aver ricevuto un’educazione in convento, Jeanne Le Perthuis des Vauds (Judith Chemla) è una giovane donna, ingenua e piena di sogni infantili. Sposa Julien Delamare (Jean-Pierre Darroussin), un visconte locale, che si rivela presto un uomo avaro e infedele. A poco a poco le illusioni di Jeanne svaniranno. Questa è la storia di un lutto impossibile, quello del paradiso perduto dell’infanzia. Un film storico che racconta il percorso di Jeanne, tra i suoi 18 e 45 anni: la storia di una donna sensibile, troppo protetta e in cerca di emozioni, ma incapace di far fronte alla brutale realtà del mondo.

Tratto dal primo romanzo d’appendice di Maupassant, e ambientato nella Normandia del primo Ottocento, il film di Brizé è lontano anni luce dallo spirito e dal rigore essenziale della messa in scena di La legge del mercato, premiato a Cannes un paio di anni fa.

La protagonista è la figlia di due baroni e proprietari terrieri, che finisce per sposare un visconte decaduto, che ha perso la sua famiglia ed ha un rango inferiore al suo. I genitori sostengono le sue scelte e le sono sempre a fianco, anche quando decide di perdonare il marito, che ha messo incinta la domestica, cresciuta con Jeanne fin dalla nascita.

Il tradimento si perpetua con altre donne, mentre il figlio di Jeanne vive in collegio, ma non sembra avere nessuna propensione agli studi.

Il marito nel frattempo è vittima della gelosia e delle regole d’onore del tempo, lasciando Jeanne da sola a prendersi cura delle sue proprietà. Ma la sua vera rovina sarà il figlio, desideroso di autonomia, negato per gli affari e sperperatore del patrimonio familiare.

Il film di Brizé, girato nell’antico formato Academy, con una illuminazione per lo più naturalistica, è un dramma della mediocrità. Jeanne è un’eroina che non ispira alcuna compassione e non suggerisce alcuna identificazione.

Una donna completamente passiva, che passa dal dominio del padre, a quello del marito, infine a quello del figlio.

Incapace di alcun pensiero autonomo, di alcuna vera decisione, figlia fragile, moglie annoiata, madre arrendevole, è la vittima ideale di un destino sfavorevole, che Jeanne si cura sempre di assecondare, senza mai opporre resistenza.

Brizé ripercorre gli anni centrali della sua vita, dall’adolescenza sino alla maturità, attendendosi allo spirito del romanzo.

I personaggi si muovo nel grande scacchiere della Storia, sempre lateralmente, senza lasciare alcuna traccia.

Il regista vuole forse mostrarci l’insorabile declino di una nobiltà goffa, molle e inetta? Difficile dirlo.

La scelta infelice degli attori, la messa in scena piuttosto anonima e il racconto piuttosto datato di Maupassant, frustano ogni ipotesi interpretativa, che superi quella del semplice e infelice ritratto femminile.

Davvero troppo poco.

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