Safari ***
Fuori Concorso
Africa. Turisti tedeschi e austriaci in vacanza per cacciare nelle distese selvagge, dove antilopi, impala, zebre, gnu e altre creature pascolano a migliaia. Guidano nel bush, si appostano, braccano le loro prede, sparano, singhiozzano per l’eccitazione e si mettono in posa davanti agli animali che hanno catturato. Un film sulle vacanze che parla della pratica di uccidere, un film sulla natura umana.
Il nuovo documentario firmato dall’austriaco Seidl comincia in una delle cantine dell’ultimo In the Basement, tra quei cimeli di caccia che sembrano usciti dal paleolitico, più che dalle case di anziani tedeschi.
Più compatto e a fuoco rispetto al precedente, Safari fa i conti con un piccolo gruppo di cacciatori che passa le loro vacanze nella savana africana a sparare e uccidere animali più o meno rari: gnu, antilopi, cobo, zebre, giraffe.
Per ciascuna c’è uan tariffa precisa, che tiene conto della rarità dell’esemplare.
Guide indigene e cacciatori esperti li accompagnano nelle lunghe giornate di caccia, li consigliano, li spronano all’azione, li fotografano davanti agli animali brutalmente uccisi e ricomposti in una posa da trofeo, tanto innaturale quanto immutabile nel tempo.
Le immagini degli appostamenti e degli spari si alterna ad interviste ai protagonisti, raccolte nelle loro stanze adorne di trofei di caccia.
Sono domande semplici quelle di Seidl: quale animale ti piacerebbe cacciare e quale no, perchè lo fai, che cosa rappresenta la caccia per te, che rapporto c’è tra un’attività così primordiale e la nostra civiltà.
Ma quello che lascia davvero senza parole sono le due macellazioni, riprese integralmente, di una zebra e di una giraffa, da parte dei cacciatori bianchi e dei loro assistenti locali. Minuti interminabili di carne martoriata, sangue, scuoiamenti, eviscerazioni: una procedura semplice, elementare. Non per questo meno traumatica.
Seidl come sempre ci costringe a guardare, a venire a patti con la nostra natura più feroce, animalesca, ancetrale.
Il fatto che questa volta abbia deciso di mettere in scena persone qualunque, borghesi, ordinarie, rende il suo pamphlet ancora più inquietante.
Quell’istinto di morte, quell’eccitazione infantile davanti ad una vita che si spegne, sono patrimonio comune di una civiltà che sembra averlo rimosso, ma l’ha solo occultato.
Sconsigliato agli animalisti.