Nobi – Fires on the plain ***
C’era una volta il cyberpunk di Tetsuo, Le avventure del ragazzo del palo elettrico, Tokyo Fist, Bullet Ballet.
Poi Shinya Tsukamoto con Vital, Gemini e Snake of June ha in un certo senso addolcito il suo cinema. L’incubo Kotoko ha vinto Orizzonti due anni fa e il nuovo Nobi – Fires on the plain torna in concorso a Venezia.
Tratto da un romanzo di Ooka, già portato sullo schermo da Kon Ichikawa nel 1959, Nobi è una delle vette del suo cinema che assalta i sensi dello spettatore con un’orgia audiovisiva mai come questa volta perfetta per rappresentare l’orrore della guerra.
Siamo alla fine del secondo conflitto mondiale in un Isola delle Filippine. I locali resistono nella giungla e le forze alleate bombardano dal cielo, sterminando l’esercito nipponico.
In uno degli ultimi avamposti, il soldato Tamura malato di tubercolosi fa la spola tra l’infemeria ed il comando, troppo debole per combattere, ma non sufficientemente malato, per essere ricoverato assieme a soldati straziati dai colpi nemici.
Le uniche monete di scambio nella giungla sono le patate, il sale ed il tabacco.
Tamura comincia così un’odissea senza fine per raggiungere il punto in cui i pochi sopravvissuti avrebbero dovuto essere tratti in salvo dall’esercito giapponese.
Attraversando l’isola si imbatte in commilitoni avidi, folli, feriti, piegati dalla guerra non solo nel corpo, ma anche nella mente.
I filippini non sono da meno, accecati da una violenza bestiale e disumana. Neppure nella resa c’è salvezza.
Tamura resiste, fortunato e tenace, si imbatte infine, stremato in un gruppo di soldati che non esita a praticare il cannibalismo per sopravvivere.
Sulla collina che dovrebbe preludere alla salvezza si accalcano i giapponesi, ma gli alleati ed i locali ne fanno carne da macello. L’orrore della guerra diventa orrore anche sullo schermo. Braccia e gambe amputate, volti che esplodono, interiora impossibili da contenere.
Il cinema d’assalto di Tsukamoto trova il suo correlativo oggettivo nella violenza belluina degli ultimi giorni di guerra. Alle immagini – fortissime – si associa una colonna sonora devastante di urla, suoni, esplosioni, che cala lo spettatore direttamente nell’inferno del campo di battaglia.
Nobi non è per tutti gli stomaci, naturalmente, ma il suo antimilitarismo è feroce e si nutre – con un paradosso non del tutto innocente – di una messa in scena violentissima.
A qualcuno potrà sembrare incoerente e manierista, forse anche gratuito e compiaciuto ed il rischio, evidentemente, c’è tutto. A noi è parso comunque stranamente sincero. E non è un caso che il soldato Tamura sia interpretato dallo stesso Tsukamoto.
Da non perdere.