Nymphomaniac vol.2

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Nymphomaniac vol.2 ***

La seconda parte del film di Von Trier ricomincia esattamente dove si era interrotta la prima.

Jerome e Joe sono di nuovo assieme, hanno un figlio, ma raggiunta la serenità familiare, la protagonista sembra perdere ogni capacità di appagamento sessuale.

In un impeto di generosità, Jerome le concede di vedere altri uomini e sperimentare ogni perversione, da un comico rapporto a due con muscolosi uomini di colore – più intenti a litigare sulle rispettive posizioni che a soddisfare le voglie di Joe – sino ad un lungo rapporto sadomasochistico che la protagonista intrattiene con il misterioso Mister K.

Nonostante i suoi obblighi di madre e moglie, Joe sparisce nella notte per raggiungere un ufficio in cui K somministra frustate e altre violenze ad un piccolo gruppo di donne, che attendono pazientemente il proprio turno in una curiosa sala d’aspetto.

E’ il sesto capitolo del film: The Eastern and the Western Church (The Silent Duck) che prende spunto da un’icona russa appesa alla parete della stanza di Seligman, per mostrare l’ennesimo detour morale e sessuale di Joe, che finirà per distruggere il proprio rapporto con Jerome, quando una notte, il loro bambino sarà sul punto di fare la stessa fine di quello di Antichrist, in una curiosa e improbabile riproposizione dello stesso contesto narrativo e musicale.

L’atteggiamento spregiudicato di Joe, anche sul lavoro, la conduce ad un gruppo di sostegno per sex addict, che le impone una forzata astensione. Nella parte migliore di questo volume 2, la protagonista rimuove dal proprio appartamento qualsiasi elemento che possa sollecitare il suo desiderio. Persino gli specchi della casa sono oscurati, il telefono tagliato e gli spigoli smussati.

Ma l’astensione forzata non potrà durare a lungo.

In The Mirror Joe finisce per cambiare lavoro, grazie all’intervento di L, un ambiguo personaggio che la assume per la sua spregiudicatezza e le affida il compito di convincere, con ogni mezzo, alcuni debitori, riluttanti a far fronte ai loro obblighi.

Joe si trova finalmente a suo agio in un ruolo di comando e di potere, e su suggerimento di L, nell’ultimo capitolo del film The Gun, si sceglie un’erede che possa portare avanti la sua attività con dedizione assoluta.

La individua nella giovane P, un’adolescente sola al mondo, di cui diventa prima una sorta di genitore adottivo, quindi un’amante, infine una rivale…

Von Trier svela il mistero che preludeva all’incipit, con Joe picchiata ed abbandonata in strada, prima di chiudere con una sorta di sberleffo stonato e posticcio.

Questa seconda parte onestamente non mantiene tutte le promesse della prima, e mano a mano che il film procede verso lo sconcertante epilogo, si fa via via più serioso, cupo e prevedibile.

Meno compiuto ed assai più compiaciuto. Von Trier d’altronde è un regista che non usa il fioretto, ma la sciabola e l’insolita leggerezza della prima parte poteva (doveva) mettere sull’avviso.

L’ironia e la commozione che arricchivano il primo volume, sono qui completamente assenti. Il film si avvita su se stesso in una spirale di autocitazioni e degradazioni, che si concludono nel modo più banale che Von Trier avrebbe potuto scegliere.

La sua vena anarchica e la voglia di stupire ad ogni costo prendono il sopravvento.

Più esplicito, ma anche assai meno ambiguo, questo secondo volume deraglia molte volte, incapace di replicare fino in fondo il felice alternarsi di suggestioni culturali e provocazioni intellettuali, che avevano caratterizzato il volume 1.

Anche gli attori coinvolti sono decisamente meno efficaci. Dopo pochi minuti la straordinaria Stacy Martin lascia il ruolo di Joe a Charlotte Gainsboug, che non ha nulla della malizia naturale e virginale della prima.

Ma, come negli altri ruoli interpretati per Von Trier è predestinata al martirio ed alla sottomissione.

Lo stesso accade al personaggio di Jerome, che Shia LaBeouf cede ad un anonimo interprete, assai più bolso e untuoso.

Willem Dafoe ha una parte da un paio di minuti soltanto e nè Mia Goth, nei panni di P, nè Jamie Bell in quelli di Mister K, lasciano il segno, interpretando in fondo solo due strumenti, per muovere la storia e non due veri personaggi.

Persino Seligman, il buon samaritano, fa una brutta fine, meno coinvolto nelle digressioni che scandivano il primo volume: Von Trier gli affida quindi un finale talmente infelice e improbabile, che sembra voler cancellare la sua immobile saggezza.

E’ un peccato che il questo secondo volume ritornino i vezzi più fastidiosi dell’ultimo Von Trier – la sua pedanteria ideologica, la sua misoginia latente, il suo cupo pessimismo – ad inquinare il magnifico ritratto femminile che era riuscito ad imbastire nella prima parte, rimanendo in perfetto equilibrio tra provocazione e grande racconto, ironia e commozione.

Anche dal punto di vista visivo, questo secondo episodio è ancor più convenzionale, con solo un paio di sequenze da ricordare: la visione mistica della giovanissima Joe, proprio all’inizio e l’immagine dell’albero piegato dal vento nella seconda metà. Per il resto Von Trier alterna senza troppa fantasia – almeno in questa versione corta del film – immagini assai esplicite delle perversioni sessuali di Joe, a momenti in cui più classicamente si limita solo a suggerirle, mostrandone gli effetti sui volti e nelle espressioni dei protagonisti.

Peccato che il film negli ultimi suoi tre capitoli non mantenga le promesse e vada come spegnendosi in un sensazionalismo di maniera, che nulla aggiunge a quanto già detto da Pasolini, Bergman e Oshima, molti anni fa.

In particolare, sembra essere proprio il maestro svedese il nume ispiratore di questa seconda parte, soprattutto i suoi film sul silenzio di Dio e sull’amore borghese, ma siamo molto lontani dal rigore tragico di Persona o dalla ricostruzione d’ambiente di Fanny e Alexander.

In Von Trier finisce per prevalere la voglia di un ultimo sberleffo, la provocazione fine a se stessa che si fa gioco persino della coerenza drammatica.

Un’occasione in buona parte sprecata…

Nella versione lunga, che dura 45 minuti di più, il film guadagna spessore drammatico e compiutezza. Manca per intero unna lunga sequenza in cui Joe cerca di abortire, prima legalmente, quindi procurandosi l’interruzione da sola, in mezzo ad atroci sofferenze. 

Anche la parte di Seligman è più corposa e le sue digressioni arricchiscono il film esattamente come nella prima parte. Non c’è dubbio che la versione corta in questo caso abbia penalizzato molto il lavoro di Von Trier, anche i se i dubbi rimangono intatti sul tono cupo e sulla violenza troppo didascalica di questa seconda parte.

Così come quelli sull’incredibile finale, che qui suona ancora più posticccio e inutile.

E’ ancor più evidente nella versione completa del film, che la cornice narrativa serve a Von Trier per fare i conti con i suoi detrattori: il regista danese si identifica chiaramente con le provocazioni di Joe e risponde colpo su colpo al buon Seligman, interprete intelligente di un progressimo classico e politicamente corretto.

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Qui la recensione di Nymphomaniac vol.1

Nymphomaniac 1

4 pensieri riguardo “Nymphomaniac vol.2”

  1. E dove è il provocatorio di Lars von Trier?! Il film è molto commerciale. Un vero peccato … L’idea era buona, molto buona. Ma amo Charlotte Gainsbourg (lei è anche molto bello nel film “Samba”)

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