Her
Spike Jonze
2013
Durante gli ultimi 24 mesi trascorsi, Spike Jonze ha perso quattro amici. A loro è dedicato Her. Non so quanto queste perdite abbiano influenzato direttamente la sceneggiatura di questa sua opera, o diretto il suo occhio durante le riprese, o magari anche solo influito sulla felicissima scelta degli attori. Quel che so è che questo film è oltre.
Oltre i confini della banale breve insensata vita umana, Her vola alto. Come una lacrima in assenza di gravità, come una piuma coloratissima che disegna traiettorie magiche in assenza di vento, Her vive in quella non-zona attraverso cui capita di passare per un attimo tra il sogno e il risveglio, toccando le stesse corde di Lost in translation, Eternal Sunshine of the Spotless Mind, In the Mood for Love.
Non è un caso che tutti i quattro film abbiano canzoni di uguale intensità che scorrono sui titoli di coda, e sono assolutamente intercambiabili: Just like honey, Everybody’s gotta learn sometimes, Yumeji’s theme e lo strumentale in coda a Her: provate a mischiarle alla cieca e piazzarle in chiusura di uno a caso di questi film. L’effetto sarà lo stesso.
Spike Jonze è oltre, ha superato ( per fortuna) indenne le terre Where the wild things are per arrivare giù, nell’abisso più profondo di quel muscolo egoista piccolo e incapace che è il nostro cuore. E lo ha fatto in un modo che sarebbe piaciuto anche a Philip Dick, lasciando sullo sfondo una visione no contact del presente/futuro analoga alle intuizioni della geniale miniserie tv Black Mirror.
Una Ricerca del Tempo Perduto in versione 2.0 , perchè non si tratta di un apologo sulla solitudine dell’uomo ultramoderno, come i soliti noti vorrebbero farci credere, ma di una sinfonia dolceamara sulla nostalgia e sul rimpianto. Theodore Twombly, l’umano troppo umano protagonista, è storyteller a pagamento, scrive per coppie romantiche a corto di parole, ma non riesce a scrivere il suo nome in calce alla richiesta di divorzio della moglie Catherine (Rooney Mara), perchè non vuole smettere di vivere nel ricordo di un amore, di raccontarsi la vita che desiderava e che ora chiede ad un sistema operativo.
Joaquin Phoenix è oltre, supera le vette di The Master incarnando un piccolo debole meraviglioso ometto, che come tutti parla da solo per strada, ma è follemente più solo degli altri. Perchè essere innamorati, come dice la sua migliore amica (Amy Adams, ancora con lui dopo The Master) “è una follia socialmente accettata”.
Scarlett Johansson è oltre, siderea sensuale protagonista quindi assente. Scarlett è altrove, il suo corpo non c’è: basta ascoltare la sua voce per innamorarsene. Amore sublimato, amore senza volto, eco e suono.
La sua risata.
I suoi sospiri.
I suoi singhiozzi.
E attenzione: guardare questo film doppiato è come guardare un porno senza le scene di sesso. Non fatelo. Oppure fatelo, ma tappatevi le orecchie.
Dikotomiko
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“A view from the cellar” è una nuova stanza sul cinema contemporaneo, a cura dei nostri collaboratori Dikotomiko.