Stray Dogs ***1/2
Il cielo e la terra non ci trattano con benevolenza, ma come cani di paglia.
Lao Tse
Il cinema di Tsai Ming Liang è sempre una sorpresa, un’epifania, una lenta discesa nell’anima dei suoi personaggi.
Per coglierla però occorre entrare in sintonia con il respiro del suo cinema, fatto di lunghi piani sequenza, quasi sempre a camera fissa, che dilatano le inquadrature sino a renderle qualcosa di completamente nuovo e diverso.
Tsai Ming Liang cerca la verità, il dolore, l’ironia sottile di un mondo contaminato, degradato, travolto dalla forza della natura, eppure capace ancora di compassione, di amore folle e disperato. La sua riflessione sul tempo – quello cinematografico e quello reale – è affascinante e unica.
I suoi film richiedono fiducia e costano fatica, sfidano l’ontologia nel cinema e lo statuto delle immagini.
Nel prologo vediamo due bambini dormire placidi in una camera dove una donna si spazzola i lunghi capelli. Il volto rimane nascosto. E’ la madre? Forse sì, ma non lo sapremo mai. Invano attende un marito poco di buono.
La prima parte comincia con una cesura evidente: quella famiglia si è disgregata. Il padre dei bambini lavora come cartello umano ai bordi di una strada trafficatissima, pubblicizzando una casa in vendita.
Tutti i giorni il padre ed i figli abbandonano il rifugio in cui abitano, per raggiungere la città. I ragazzini attendono che il genitore finisca la sua giornata di lavoro in un grande centro commerciale, mentre lui resiste, con il suo grande cartello, sotto la pioggia ed il vento battente.
La sera fanno ritorno al loro giaciglio di fortuna, dopo essersi lavati in un bagno pubblico.
Una donna, responsabile del controllo qualità del supermercato, si prende cura dei bambini e sembra seguirli per sottrarli al padre.
Nella seconda parte del film i quattro vivono tutti assieme in un appartamento che sembra andato a fuoco: i muri neri, il segno dell’acqua colata, per spegnere le fiamme.
In qualche modo un nuovo nucleo familiare si è ricostituito.
Stray Dogs è un film straordinario, uno dei migliori di questa Mostra: la macchina da presa di Tsai Ming Liang inquadra i volti dei suoi personaggi per coglierne tutta la disperazione, il dolore, la solitudine. Spingendo la durata dei suoi piani sequenza sino al limite della sostenibilità, riesce a cogliere lo scarto essenziale tra il cinema e la realtà. I suoi attori mangiano, dormono, cantano, bevono, soffrono davanti alla sua macchina da presa, che non arretra di fronte a nulla.
Il dolore diventa impeto surreale, il senso della vita sfugge ad ogni tentativo di razionalizzazione, le solitudini si incontrano senza toccarsi, come accade nello straordinario finale, che cita quello di Vive l’amour.
Il suo cinema arriva letteralmente da un altro mondo, è brutale e tragico assieme, ironico e disperato come la vita, raccontando uomini e donne che lottano, nonostante tutto.
E’ emozione purissima, estenuante, fuori dalla storia e dalle storie, assoluta e totalizzante.
Se avrete la fortuna di incontrarlo nelle sale o sugli schermi di casa, lasciatevi trasportare: il viaggio di Stray Dogs fa male e lascia il segno, ma ne resterete travolti.
Imperdibile.
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