La prima cosa bella ***
La prima cosa bella è una delle conferme più luminose della felice vena narrativa del nostro cinema.
Il ritorno di Virzì nella natìa Livorno si rispecchia in quello del suo protagonista, Bruno Michelucci, professore di lettere in un istituto alberghiero, trasferitosi a Milano da molto tempo.
A costringere – letteralmente – Bruno c’è la sorella, Valeria: la madre Anna è in fin di vita, in un hospice per malati terminali.
Ma Bruno è riluttante. Ha tagliato i ponti col passato molti anni prima, fuggendo al nord, per liberarsi dalla cappa opprimente di una storia familiare burrascosa, amplificata dal provincialismo del paese: come dirà nel finale, sorridendo amaro, la madre gli ha rovinato la vita.
Anna, interpretata da Stefania Sandrelli – e da Micaela Ramazzotti nei flashback deglli ’70 e ’80 – è tutt’altro che arresa al suo destino.
La sua forza travolgente, sconvolgerà ancora una volta la vita di Bruno e Valeria, incapaci di confrontarsi con una madre così vitale.
Paolo Virzì, sempre più maturo e sempre meno interessato a strappare qualche facile risata, ma intenzionato a fare i conti con la propria storia e con quella di molte cittadine della provincia italiana, costruisce una commedia piena di malinconia, di infelicità mai superate, di rimorsi e segreti.
All’esuberante figura materna, che si fa carico in prima persona delle proprie scelte anticonformiste e della propria ingenua superficialità, si contrappongono i due figli, incapaci di vivere la propria vita pienamente: chiusi nel trauma di un’infanzia vagabonda, segnata dai litigi, dai tradimenti, dalle fughe e dalle riconciliazioni dei loro genitori, Valeria e Bruno sembrano reiterare quell’infelicità febbrile, anche da adulti.
Virzì dipinge un affresco inedito e spiazzante: costretto a fare i conti con le proprie radici, scopre profondità inconsuete, così come sapevano fare i maestri della commedia degli anni ’60.
E non è un caso che Anna finisca per fare la comparsa in un film di Dino Risi, vero nume tutelare del livornese Virzì, che qui raggiunge una maturità espressiva, capace di fare a meno anche del tono grottesco, che spesso accompagnava le sue opere più note (da Ferie d ‘agosto a Caterina va in città, sino all’ultimo Tutta la vita davanti), per riscoprire invece le note più malinconiche di Ovosodo e La bella vita.
Peccato che nella seconda parte il film si dilunghi un po’ troppo, tra malattie, matrimoni e rivelazioni, prima del finale, meravigliosamente liberatorio.
Il film finisce per essere, inevitabilmente, anche una dichiarazione d’amore per Micaela Ramazzotti, compagna di Virzì nella vita, qui straordinaria incarnazione giovanile di Anna: la sua innocenza, la sua forza di volontà, il suo spirito libero confondono realtà e finzione, in una di quelle straordinarie coincidenze, che il cinema ogni tanto si incarica di sottolineare.
Da non perdere.
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Bravo Marco, anche questo mi hai fatto venire una gran voglia di vederlo…
Grazie Giò!
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