CANNES 2009 – 2

Film di domenica 17 maggio

Images from the playground – Samson e Dalilah – Un prophète 

 bergman

Images from the playground ***

Il cortometraggio, curato da Stig Bjorkman – e sostenuto dal World Cinema Foundation di Martin Scorsese – raccoglie alcune delle immagini girate da Ingmar Bergman sul set dei suoi film nel corso degli anni ’50 e ’60, con una piccola cinepresa 9,5 mm.

Ci sono le sue attrici, Harriet Anderson, Bibi Anderson e Liv Ullman, ci sono Victor Sjostrom nel posto delle fragole, ci sono le parole sue e dei suoi attori, a commentare le immagini rubate dal set.

La Teodora film di Vieri Razzini film dovrebbe lanciarlo anche in Italia: sarebbe una delizia per tutti i cinephiles.

  

Samson e Dalilah **

L’opera prima di Warwick Thornton è ambientata tra un gruppo di homeless aborigeni, dove due giovani cercano una impossibile via di fuga alla routine ed alla violenza della piccola comunità etnica.

Avvolto dai silenzi dei protagonisti, che finiscono per esprimersi solo con il proprio comportamento e con la musica che ascoltano, il film è più interessante nella prima parte, dedicata alle giornate sempre identiche dei due personaggi nel deserto australiano, mentre diventa più prevedibile quando i due scappano verso una città, che finisce per respingerli con la stessa violenza e la stessa indifferenza: memorabile la scena del gallerista d’arte tradizionale.

 Profeta

Un Prophète ****

Risuonano le note di Mack the knife, alla fine di Un prophète, Malik esce finalmente dal carcere, lo aspetta una donna e mentre i due camminano, tre macchine li seguono a passo d’uomo: il piccolo criminale è diventato un boss.

Sembra una storia di Bunker, ma non c’è redenzione, non c’è salvezza, se non quella possibile attraverso la forza, il sangue e le armi.

Il racconto di formazione di Audiard è in fondo un viaggio alla ricerca di un’identità: il giovanissimo arabo Malik non sa da che parte stare.

Finisce per diventare il braccio destro del criminale corso Cesar Luciani, che sostanzialmente comanda la prigione sia attraverso i suoi uomini, sia con l’aiuto delle guardie e dell’amministrazione.

Malik imparerà lo stranissimo dialetto parlato dal capo, un misto di italiano e francese, pur di farsi accettare nel gruppo.

La prova d’iniziazione arriverà prestissimo: ma l’omicidio di un testimone scomodo, messa in scena da Audiard con feroce realismo, continuerà ad accompagnare Malik per tutti gli anni di prigionia.

Il film alterna il realismo nella descrizione della vita dietro le sbarre, dove non può esserci riabilitazione, e momenti onirici: tra sogni premonitori e fantasmi del passato, Malik imparerà a farsi strada, picchiando, spacciando droga, uccidendo su commissione nei permessi fuori dal carcere.

La prova mimetica di Tahar Rahim si rispecchia in quella di Niels Arestrup, nella parte del boss Cesar: i loro duelli,vfisici e verbali, assumono potenti sfumature edipiche, sino al sorprendente ribaltamento finale.

Il primo autorevole candidato alla Palma d’oro. Applauditissimo in sala.

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