Parasite

Parasite ****

Il coreano Bong Joon-ho travolge il concorso di Cannes con una commedia nera, straordinariamente potente e affilata. Un capolavoro accolto con commozione, applausi, e risate a scena aperta nel corso di una proiezione stampa elettrizzante.

Dopo aver lavorato negli ultimi tempi a due produzioni internazionali frustranti e complessivamente diminutive, come Snowpiercer e Okja, Bong decide di tornare in patria, per raccontare la storia di una doppia famiglia.

Quella di Mr. Park, proprietario di una società di High Tech, che vive in una villa, immersa in un giardino bellissimo, progettata da un famoso architetto, con una moglie, Yeon-Kyo, devota e semplice, due figli ancora giovanissimi, una governante fedele e un autista, che lo accompagna dovunque.

E quella di Ki-taek, un uomo di mezza età che ha fatto mille lavori e che vive in un sottoscala nella parte più povera di Seul: lui ha perso tutto, la moglie campionessa di lancio con il martello è disoccupata, i due figli adolescenti Ki-woo e Ki-Jung non sono sufficientemente intelligenti o studiosi, da avere delle borse di studio all’università, ma si arrangiano come possono, con lavoretti di fortuna.

Quando un amico di Ki-woo lo raccomanda presso la famiglia di Mr. Park, per sostituirlo, come tutor d’inglese, per la giovanissima figlia del magnate, il ragazzo intravvede un intero universo di possibilità, per risolvere tutti i suoi problemi economici.

Ki-woo convince quindi l’ingenua moglie di Mr. Park, che il figlio più piccolo, che ha una passione per gli indiani d’america e disegna ritratti confusi, abbia bisogno di un’insegnante d’arte, per sviluppare il suo supposto talento ribelle.

Quando la sorella Ki-Jung, abilissima con photoshop, si presenta come Jessica, giovane artista con studi in Illinois, e mostra un’immediata sintonia con il più piccolo dei Park, le cose si mettono in discesa. Con un altro paio di mosse machiavelliche, anche il padre Ki-taek e la madre finisco per lavorare nella grande villa razionalista.

Sono passati solo venticinque minuti dall’inizio di Parasite, ma qui ci dobbiamo fermare, perchè Bong si è raccomandato di non rivelare di più, anche se le sorprese continueranno senza sosta, lungo i tre straordinari atti in cui è divisa questa commedia scatenata ed esplosiva.

Nel rispecchiamento delle due famiglie coreane, che si pongono agli estremi opposti dello spettro sociale, si racconta la polarizzazione sempre più forte della nostra società: sommersi e salvati sono sempre più distanti, ma possono sembrare vicinissimi.

L’idea che la famiglia di Ki-woo divenga a poco a poco un entità parassitaria, che vive grazie a quella di Mr. Park, è solo la prima di una serie di idee formidabili con cui Bong costruisce una storia che è esilarante quando vuole esserlo, feroce, comica, commovente, tragica, surreale, così com’è davvero la nostra vita, capace di sorprenderci ad ogni svolta narrativa.

Il rapporto tradizionale servo-padrone qui si moltiplica per quattro e poi si ribalta e si dissolve, quando i quattro impostori si installano nel salotto di casa Park, approfittando di una loro breve vacanza. Ma la casa nasconde molti segreti, i quattro si trasformeranno a loro volta da vittime di un sistema economico tragicamente in crisi, in carnefici di un’umanità ancora più marginale, che ha scelto la loro strada molto tempo fa.

Non si vede più il fondo di una scala sociale, che si può percorrere solo scendendo. La forza metaforica del racconto di Bong è travolgente, come l’acqua che scorre impetuosa lungo le strade della città e sale dalle fogne, dopo la notte degli equivoci e delle scoperte, che cambierà per sempre le sorti delle famiglia di Ki-woo.

Parasite sceglie il registro della commedia, per assecondare lo spirito indomito dei suoi protagonisti, ma si tinge di un colore sempre più cupo, senza mia perdere la leggerezza di guardare alla vita con la voglia di cambiarla, persino nei momenti più disperati, come mostra il doppio memorabile finale, con cui Bong chiude la sua epopea familiare.

Nonostante il suo lavoro in Italia sia rimasto colpevolmente misconosciuto, i film coreani di Bong sono semplicemente straordinari, a cominciare dal memorabile poliziesco Memories of murder, passando attraverso l’horror sociale di The Host, che molti punti di contatto sembra avere con questo Parasite, per finire con Madre, odissea nella giustizia e nella verità.

Con lo stravagante Okja, disponibile esclusivamente su Netflix, solo Snowpiercer è uscito nelle sale italiane. Speriamo che Parasite, magari anche grazie a qualche premio importante qui a Cannes, trovi il modo di raggiungere i nostri cinema: sarebbe un peccato perderlo.

Perchè, come Un affare famiglia di Kore Eda, è una meditazione sulle imperfezioni della famiglia di preziosa originalità e un racconto coraggioso del suo tempo, delle sue dinamiche economiche, sociali.

La battaglia che si combatte è sempre una guerra tra poveri, anche quando coinvolge chi sta al vertice del sistema, sembra dirci Bong: ogni vittoria è solo temporanea, in un sistema completamente indifferente, che continua a produrre distanze sempre più esasperate.

Parasite è un capolavoro di comicità travolgente, che utilizza gli strumenti della satira, del racconto distopico, del pamphlet morale, per dirci quanto terribili siamo diventati, preoccupati di sopravvivere, incuranti di aver perduto anche l’ultimo residuo di dignità, nel crepuscolo della nostra umanità.

Epocale.

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