Il terzo film del talentuoso – così si dice – Bertrand Mandico, rivelatosi con l’onirico e accaldato Les garçons sauvages nel 2017 alla Settimana della Critica veneziana, è una sorta di versione trash e femminile del Conan di Milius.
Il film si apre con l’anziana Conann, in una sorta di limbo post-mortem, che rievoca con l’astuta compagna e consigliera Reiner – una donna con le sembianze di un cane – la sua ascesa al potere, brutale e sanguinosa, le sue avventure, le sue cadute e le sue rinascite.
Il tutto girato sembra girato, tra bianco e nero e colore, in un singolo studio di posa di 6x6m, che pare quello della Hammer degli anni ’50, con cartapesta e modellini a profusione, sangue finto, arti mozzati e teste capitolate.
Una fantasia (queer?) decisamente sopra le righe, insopportabile per approssimazione e sciatteria. Entrambe certamente volute e ricercate, con l’idea di fare uno Z-movie d’antan, tutto di primi piani, maschere e trucco dozzinale, fotografia sballata, montaggio approssimativo, come se fosse stato assemblato su una moviola mal funzionante.
New Adventures in low-fi. Per chi ci sta. Fughe continue durante la proiezione di gala alla Quinzaine, dopo appena 10 minuti. Dopo un’ora abbondante di nulla, pretenziosamente spacciata per understatement di culto e originalità arty l’abbiamo abbandonato anche noi.
Solo per iniziati al culto di Mandico.