The Glory, serie Netflix scritta dalla sceneggiatrice Kim Eun-sook, è una storia di bullismo che tocca i tasti della crudeltà. Nel 2022 la signorina Moon Dong-eun (interpretata dalla bravissima Song Hye-kyo) è un’irreprensibile docente della scuola elementare di Semyeong, un’immaginaria città della Corea del Sud. Diciotto anni prima, sempre a Semyeong, la giovane Moon viveva il suo calvario.
Se il bullismo è una piaga, quello toccato a Moon Dong-eun è un vero inferno. Nelle scene più cruente la giovane Dong-eun viene marchiata a fuoco con una lastra per capelli incandescente. Il tempo non lenisce il dolore. La sua età adulta è segnata, in maniera irreversibile, da un corpo ferito. Mani e braccia sono sfregiate da orrende cicatrici. Nella sua testa vive una sola idea: vendicarsi.
Chi fa del male all’adolescente Moon Dong-eun? Park Yeon-jin, Jeon Jae-joon, Lee Sa-ra, Choi Jye-jeong e Son Myeong-ho: i carnefici hanno nomi per noi difficili da pronunciare. Più facile identificarli con le loro professioni da adulti, l’annunciatrice (delle previsioni del tempo), il proprietario di un prestigioso golf club, la pittrice quotata, l’hostess e il fattorino. I cinque torturano l’adolescente Dong-eun per divertimento. Non mostrano pietà. E si accaniscono su di lei dopo aver spinto al suicidio il primo bersaglio.
Il sadismo coincide, almeno per tre di loro, con la violenza di classe. Una violenza ideologicamente connotata, esercitata dall’alto verso il basso. Park Yeon-jin e Jeon Jae-joon appartengono all’upper class di Seul. La prima, non a caso, sposerà il CEO della Japyeong Costruction, un colosso del settore edilizio, e il secondo erediterà le ingenti ricchezze paterne. Lee Sa-ra è la figlia di un importante pastore della chiesa locale. Choi Jye-jeong e Son Myeong-ho si aggregano al gruppo per convenienza e codardia.
La gang dei ricchi è inebriata dall’odore del sangue e cementata da un cameratismo vile. Moon Dong-eun è indifesa, isolata, smarrita. E povera. “La tua vita è un inferno da quando sei nata”, sibila Park Yeon-jin, perfetta interprete del determinismo sociale. Per la futura stella delle previsioni meteorologiche la figlia di un’ubriacona è un verme da schiacciare. Nessuno aiuta Moon Dong-eun, nemmeno l’ispettore scolastico.
The Glory riprende una narrazione già vista in molte serie provenienti dalla nazione asiatica, si pensi solo a Squid Game. Nella Corea ultracapitalistica il potere si regge sul denaro e sulle aderenze. La concorrenza in ambito professionale è spietata, le scuole sono brutalmente selettive, l’appartenenza a un clan familiare è un comodo lasciapassare.
Moon Dong-eun, martoriata nella carne e nello spirito, a sedici anni abbandona la scuola e si fa assumere in fabbrica. Tutto finito? No, perché la protagonista sa riannodare i fili della sua esistenza. Con ostinazione, riprende a studiare. Al termine del turno di lavoro, di notte, mentre le colleghe operaie dormono, apre i libri e si laurea. Non in architettura, perché quel sogno è ormai infranto, ma per prendere l’abilitazione e diventare docente. “A volte l’odio somiglia al desiderio”. Vi sono desideri talmente forti da poter spingere lontano anche chi ha le ali spezzate.
“Da ora in poi tre cose non avranno più importanza per voi: il lavoro dei vostri genitori, i loro soldi e le loro conoscenze”, dice la professoressa ai suoi studenti, proponendo le regole di un vangelo egualitario e democratico. Principi importanti, ma cos’ha davvero in mente Moon Dong-eun?
Il suo ritorno a Semyeong non è casuale. “Il mio sogno sei tu”. Moon Dong-eun mette nel mirino Park Yeon-jin. L’appuntamento, rimandato da anni, arriva. Alla protagonista non fanno difetto costanza e pazienza. Ogni strumento è utile per avvicinarsi alla pedina principale, la piccola Ha Ye-sol. Tutto, o quasi, ruota attorno alla figlia di Park Yeon-jin.
Moon Don-eun conosce Joo Yeo-jeong, un chirurgo plastico erede di una dinastia di medici, a sua volta sconvolto da una terribile tragedia che amplificherà la sua eco negli episodi finali. Yeo-jeong, affascinato dalla personalità austera della donna, inesorabilmente, si innamora di lei. Pietà e dolcezza sbattono contro un muro di propositi terribili. “Non sto cercando un principe ma un boia che balli con me con la spada”.
Joo Yeo-jeong introduce la donna al Go, un antico gioco di strategia, diffusissimo in Asia. La serie, nella sua più intima struttura, è un complicato gioco in cui ogni personaggio è pedina. Su questa scacchiera invisibile le mosse sono comprensibili solo se inserite in uno schema. Sarebbe impossibile apprezzare The Glory senza approfondire la filosofia alla base del Go.
Secondo la leggenda, l’imperatore cinese Yao (vissuto tra il 2357 e 2255 a.c.), ne avrebbe appreso le regole da due divinità immortali intente a giocare sulla riva sabbiosa di un fiume. Grazie al Go suo figlio Dahnzu avrebbe sviluppato un carattere saldo e principi morali improntati alla saggezza.
I giocatori posizionano le pietre (tradizionalmente di ardesia o conchiglia), divise in bianche e nere, su una tavola di legno chimata goban, sulla quale sono tracciate 19 linee orizzontali e 19 verticali, per un totale di 361 intersezioni, un numero maggiore di quelle a disposizione negli scacchi, il gioco occidentale più simile al Go. Ne deriva un numero tendenzialmente infinito di possibili partite. Nel Go si avverte lo scontro di elementi avversi. Perché se è vero che la scacchiera è quadrata e statica come la terra, le pedine sono mobili e simboleggiano la natura circolare del cielo.
L’unico scopo del Go è controllare una porzione di scacchiera più grande di quella controllata dallo sfidante, delimitandone i territori in modo pacifico o catturando direttamente gruppi di pietre. Un esercito domina l’altro, senza arrivare mai all’annientamento totale. Il Go prevede sempre un piano di accerchiamento, una sorta di soffocamento progressivo. Al nemico viene sottratta la libertà necessaria per muoversi, finché la partita, per comune decisione, è considerata finita. La strada per il successo finale richiede l’abilità di analizzare l’andamento del gioco. Sotto il profilo storico, il Go è una metafora per esprimere la guerra.
“Quando la mia vendetta sarà compiuta, lei non dovrà più avere nessuno al suo fianco”, dice Moon Dong-eun, riferendosi a Park Yeon-jin. In guerra è fondamentale conoscere i punti deboli del nemico e stringere solide alleanze. Kang Hyeon-nam, una donna delle pulizie in servizio presso la Semyeong Foundation, si accorge degli strani movimenti di Moon Dong-eun attorno alla residenza del suo datore di lavoro, eppure non la denuncia alla polizia.
Come in un noir d’antan, la signorina Moon accetta di eliminare il marito di Kang Hyeon-nam, colpevole di abusi fisici verso la moglie e la figlia. In cambio, la signora Kang diventa la sua investigatrice ufficiale, con macchina fotografica al collo, un ruolo ricoperto non senza risvolti comici. Le due diventano complici, certo non amiche. La dedizione di Moon alla sua causa personale è un fossato invalicabile tra sé e il mondo.
Sempre nel Go, è fondamentale incrinare la compattezza del gruppo di pedine altrui, restringendone le libertà, cioè i margini di manovra. Moon sfrutta l’avidità di Son Myeong-ho, il galoppino di Jae-joon, per rompere i fragili equilibri sulla scacchiera. Nessuno dei componenti della gang è esente da segreti. Uno in particolare, congelato da anni nel silenzio di una cella frigorifera, potrebbe rovinare la vita dorata di qualcuno.
“Un papà impegnato è un bene”, dice un giorno la piccola Ha Ye-sol a Jeon Jae-joon. “Ti ho comprato per regalo un pacchetto di azioni Samsung”. Quella di Jeon Jae-joon non è una battuta. L’arrogantissimo proprietario del golf club nutre un affetto speciale, si potrebbe dire paterno, per la figlia di Park Yeon-jin e di Ha Do-yeong. L’ideologia della competitività sfrenata infiamma i gangli della società coreana.
Un’ulteriore importante regola del Go è la seguente: un gruppo muore se impossibilitato a procurarsi due occhi vivi, ossia due libertà interne separate. Gli occhi costituiscono l’intersezione dove piazzare il colpo perfetto. Non è forse una curiosa coincidenza che la vista di Ha Ye-sol e quella di Jeon Jae-joon condividano il medesimo difetto? Tra Jeon Jae-joon e Ha Do-yeong il duello è inevitabile. Senza esclusione di colpi.
Il CEO della Japyeong Costruction, nella sua solidità da uomo d’affari vecchio stampo, appare perfettamente aderente al suo ruolo ideologico. La salvezza dell’azienda, lo dice lui stesso, è da anteporre a tutto il resto, matrimonio compreso. Il marito di Park Yeon-jin inizia a giocare per caso a Go con Moon Dong-eun, perdendo regolarmente ogni partita. Lui è una pedina diversa dalle altre. Ha Do-yeong anela la presenza della donna, quasi ne percepisse il potere oracolare. Moon Dong-eun ha qualcosa da svelargli e lui lo sa. L’insegnante lo porta sul sentiero della verità, un sentiero che Ha Do-yeong intende percorrere.
Il dispositivo narrativo è sadico, al pari dei personaggi della serie. Il meccanismo è una sfida alla comprensione. La presa sugli avvenimenti è precaria. Ogni mossa è decisa da ragioni che solo il giocatore conosce. The Glory è destinata a piacere ai cultori della strategia militare. L’umanità, in senso morale, è assente. L’etica della guerra è totalizzante. Conta saper posizionarsi con intelligenza, ottenere un vantaggio, sovvertire lo svantaggio, vincere sul campo.
Più la serie procede verso il finale, più gli intrecci si infittiscono. I confronti interpersonali si moltiplicano. Nessuno è al riparo da colpi e contraccolpi. Ognuno fronteggia le proprie ombre. I nemici possono essere gli amici del giorno prima, una legge che vale per i membri ormai cresciuti della gang, devastata da invidie, gelosie e rivalità interne. Negli otto episodi usciti a marzo acquisiscono maggiore importanza, rispetto alla prima parte, alcune figure, anzi, pietre (bianche o nere, a seconda di chi le sposti) fino ad allora poco utilizzate sulla tavola, in particolare la scriteriata madre di Moon Dong-eun e il viscido ufficiale di polizia pagato dalla famiglia di Park Yeon-jin per occultare le prove che potrebbero costare alla star del meteo anni di galera.
Gli incroci si fanno complessi e denunciano il lato oscuro della Sud Corea: la compiacenza delle istituzioni verso il Potere, il sentimento di impunità dei criminali di alto profilo, il culto generalizzato del lusso, la spaccatura verticale tra poveri e ricchi, la miseria morale degli ultramiliardari, il ricorso alla violenza nelle relazioni umane, la corruzione eletta a sistema, l’invadenza del digitale, il ruolo ambiguo dei social e un fondo ineliminabile di credulità popolare.
Nel decimo episodio Moon Dong-eun sigilla una sentenza sul mondo “alla deriva”, suggerendo a chi l’ascolta un breviario di esperienze da vivere per contrastare l’orrore del presente, i musei d’arte, le belle gite e godersi le cene con calma. L’apparato simbolico di The Glory (il serpente, la mela…) è esplicito. Siamo stati espulsi dal giardino dell’Eden. La gloria, da qui il titolo della serie, e la dignità sono gli unici beni da restituire a chi è stato estromesso da una possibilità di futuro. Moon Dong-eun ammette di non essere una brava persona. Non è un modello per nessuno, né desidera esserlo. “Vorrei solo essere abbastanza felice per poter morire”. Tuttavia, il salto nel vuoto può attendere. La giovane insegnante finalmente ammette il sorriso. Un sorriso dolce e amaro, come la realtà. Perché la vendetta si può compiere in due: anche questo, forse, è amore.
Titolo originale: The Glory
Numero di episodi: 16 (8+8)
Durata: un’ora l’uno
Distribuzione: Netflix
Uscita: 30 dicembre 2022 – 10 marzo 2023
Genere: Thriller, Revenge
Consigliato a chi: ha preso la patente con una scuola guida accelerata, vorrebbe montare una tenda in casa, ha provato il desiderio di spaccare tutto con una mazza da golf.
Sconsigliato a chi: ha paura che qualcuno gli frughi nella spazzatura, conserva il ricordo di occhi malevoli, ha nomi imbarazzanti memorizzati sul cellulare.
Letture e visioni parallele:
-
Il disagio più profondo espresso in venticinque brevi racconti con i toni del grottesco e del surreale: Agota Kristof, La vendetta, Einaudi, 2017.
-
Un film cinese a tinte forti sul bullismo: Giorni migliori di Tsang Derek, disponibile su Mubi.
Una richiesta: “Dimmi chi devo uccidere per primo”.
Una frase da tatuare: Memento mori.
Una prova che non lo è: la targhetta.