Dwight “il generale” Manfredi, braccio destro del capo famiglia Pete Invernizzi, è tornato in libertà dopo 25 anni trascorsi in prigione. La fedeltà dimostrata in questo lungo periodo non sembra contare poi molto: Dwight si aspetterebbe una bella festa e soprattutto un’adeguata ricompensa, ma tutto ciò che ottiene è un esilio (neanche troppo dorato) a Tulsa. Per un italoamericano abituato alla piazza di NYC, la cittadina dell’Oklahoma appare come un ben magro premio e, soprattutto, rappresenta un territorio inesplorato con cui non è facile familiarizzare; se poi aggiungiamo il fatto che negli ultimi 25 anni il mondo è cambiato radicalmente, a Dwight serve decisamente un aiuto. Lo trova nel giovane tassista afroamericano Tyson. Il ragazzo, nonostante il parere negativo del padre, diventa non solo il suo autista privato, ma anche il primo membro della nuova ‘famiglia’ con cui Dwight affronta una pericolosa gang di motociclisti per il controllo della zona e supera le insidie tese dall’FBI e dall’ATF, che vorrebbero incriminarlo e rispedirlo in prigione. In tutto questo il vecchio generale trova anche il tempo per comprare un cavallo, riallacciare i rapporti con la figlia Tina e sfoderare il proprio fascino latino, tutt’altro che arrugginito.
Tulsa King è stata scritta dall’autore de I Soprano e di Boardwalk Empire, Terence Winter, con la supervisione creativa dal prolifico autore di Yellowstone, Taylor Sheridan. Una coppia che è sempre stata in grado di coniugare qualità e visibilità; in particolare Sheridan negli ultimi anni ha acquisito una statuto autoriale paragonabile a quello di Ryan Murphy (American Horror Story, Ratched, Dahmer) per la capacità di creare mondi narrativi di grande successo con un’impronta riconoscibile.
Il personaggio di Dwight Manfredi calza perfettamente a Sylvester Stallone. E’ da molti punti di vista il coronamento di una lunga carriera, ricca di alti e bassi, ma sempre con una capacità indiscutibile di dialogare con il pubblico. Per la prima volta in una serie Tv, a 76 anni, Sly non ha perso nulla di questa capacità e anzi, sembra saperla mettere a frutto nel migliore dei modi, occupando lo schermo e la scena con una personalità strabordante che la sceneggiatura sceglie di assecondare. Una scelta saggia che certamente farà storcere il naso agli appassionati della tv di qualità, perché ha il sapore dello storytelling televisivo tradizionale in cui tutto – o quasi – ruota attorno a un personaggio, con qualche concessione di troppo che mina la verosimiglianza delle situazioni. Gli altri personaggi finiscono per risultare semplici comprimari, senza linee narrative approfondite. Eppure il meccanismo funziona come un orologio, sia nella parte d’azione sia in quella drammatica. La molteplicità di toni, che oscillano dal crime al noir, dall’humor nero alla soap intercettano un pubblico ampio ed eterogeneo, che si affeziona immediatamente al personaggio di Manfredi e alla sua improvvisata e improbabile nuova ‘famiglia’.
C’è molto di Stallone in questo personaggio: i suoi antenati venivano dalla Puglia e il nonno faceva il barbiere (proprio come nella serie il padre di Manfredi). E’ inoltre una rivincita professionale: Stallone in gioventù ha sostenuto un provino per il ruolo di Sonny Corleone (poi interpretato da James Caan) ne Il Padrino, senza fortuna. Vedendolo interpretare con questa naturalezza e personalità i panni del mafioso viene perfino da rammaricarsi, ma la storia, anche quella cinematografica, percorre strade non sempre lineari.
Dwight Manfredi si inserisce pienamente nell’immaginario di Sheridan, con quel tocco western e conservatore nei confronti della società che caratterizza i suoi personaggi e le sue narrazioni. Manfredi è un lupo solitario, un uomo d’onore che mantiene fede alla parola data e per questo passa ben 25 anni in prigione: non appartiene alla società contemporanea e vi si adatta con difficoltà. Durante il soggiorno in prigione ha perso ogni rapporto con la figlia, che ora cerca di riconquistare, anche se a fatica. La luce positiva di questo tentativo, così come quella parallela dell’impegno a crearsi una nuova ‘famiglia’ sembra delineare una diversa percezione dell’autorità rispetto al tono scettico, se non apertamente conflittuale, diffuso nelle rappresentazioni televisive degli ultimi anni. Nella visione di Sheridan sembrano piuttosto le nuove generazioni ad essere inadeguate, schiacciate dal paragone con chi li ha precedute, mosse soprattutto dal desiderio di potere e dagli interessi personali. Sono infatti Chickie (Domenick Lombardozzi), il figlio del vecchio boss e la compagna Stacy Bell (Andrea Savage), a tradire la fiducia e le aspettative di Dwight (e, nel secondo caso, anche del pubblico).
Se analizziamo il rapporto tra padre e figlia, per quanto sia chiaro quanto la condotta criminale di Dwight abbia pesato sulla vita di Tina (Tatiana Zappardino), è a lui che va la simpatia del pubblico perché appare sinceramente affezionato e desideroso di fare tutto quanto in suo potere per riallacciare un rapporto a cui la donna sembra, almeno inizialmente, poco interessata.
Dwight Manfredi si inserisce per altri aspetti nel solco della serialità degli ultimi anni: è un villain svincolato da ogni giudizio di tipo morale. Lo spettatore negozia con lui grazie ad una simpatia, a un carisma e a un savoir-faire che ci portano al di là del giudizio morale. Il che non vuol dire negare che Manfredi sia un criminale, banalizzarne i reati o mitizzarlo: vuol dire semplicemente spostarsi di piano, prendendo il personaggio principale per quello che è e non per quello che dovrebbe essere.
Complessivamente ci troviamo di fronte a un prodotto che, grazie ad un meccanismo narrativo essenziale, senza fronzoli e all’ottima interpretazione di Stallone, conquista il pubblico e lo diverte, andando al di là delle etichette che negli ultimi anni hanno popolato la serialità televisiva. Un successo che ha portato la produzione a confermare lo show per una seconda stagione: una buona notizia, anche se permane qualche nuvola all’orizzonte. Infatti le divergenze tra Terence Winter, lo showrunner, e l’ideatore Taylor Sheridan sugli sviluppi del personaggio principale hanno portato ad un divorzio che avrà certamente delle conseguenze.
Come abbiamo già detto proprio dall’incontro tra queste due personalità creative è stato possibile realizzare un prodotto originale come Tulsa King. A far tremare i fan ci ha pensato anche Stallone, dichiarando, forse con un po’ di pretattica, che la sua presenza nella seconda stagione non è affatto scontata, anche per la fatica che comporta girare uno show per la Tv.
Non ci resta che aspettare il momento di tornare a Tulsa in compagnia, speriamo anche questa volta, di Sylvester Stallone.
TITOLO ORIGINALE: Tulsa King
DURATA MEDIA DEGLI EPISODI: 40 minuti
NUMERO DEGLI EPISODI: 9
DISTRIBUZIONE STREAMING: Paramount +
GENERE: Drama, Crime
CONSIGLIATO: a quanti cercano una serie Tv godibile, vecchia maniera, con puntate compatte, da vedere tutta d’un fiato.
SCONSIGLIATO: ai puristi della nuova serialità e delle produzioni di qualità.
VISIONI PARALLELE: La critica ha presentato questa serie come un originale incontro tra lo spirito di Yellowstone e i personaggi de I Soprano, quindi è naturale rimandare proprio a queste due produzioni televisive. Per quanti fossero invece affascinati dalla mafia newyorkese (e dai grandi attori), allora segnaliamo Donnie Brasco, un film del 1997 diretto da Mike Newell e interpretato da Jhonny Deep e Al Pacino, ispirato alla storia di Joe Pistone, un agente infiltrato nella mafia che, dall’interno, raccoglie informazioni per far condannare i capi delle famiglie più potenti di NYC. Per quanti invece preferissero la lettura ironica delle differenze tra città e campagna, non possiamo non ricordare Scappo dalla città – La vita l’amore e le vacche film del 1991 con Billy Cristal e Jack Palance (premio Oscar come miglior attore non protagonista)
UN’IMMAGINE: tra i momenti più iconici, certamente la bella sigla che paragona New York, le sue vie e i suoi monumenti con Tulsa, mescolando in modo affascinante Est e Ovest, città e campagna, modernità e tradizione. In mezzo a tutto questo naturalmente lui, Sylvester Stallone sulle note della musica ritmata della coppia Danny Bensi e Saunder Jurriaans (The Gift, The Staircase, Tokyo Vice).