Russian Doll 2: Nadia Vulkokov alla ricerca del tesoro perduto

Russian Doll 2 ****

A quattro anni dalla sua fatidica festa di compleanno (il trentaseiesimo, per la precisione), epicentro delle disavventure sci-fi della prima, convincente stagione, torna Nadia Vulkokov, protagonista di una serie Netflix dalla forte identità autoriale, per certi versi il gemello al femminile di After Life [link terza stagione].

Nella New York City del 2022 l’eccentrica Nadia è fuori dal loop temporale, inganno metafisico o scherzo quantistico, chissà, che la costringeva a rivivere all’infinito il giorno del suo compleanno, appunto, ma anche della sua tragicomica morte. La circolarità ha ceduto il posto alla linearità. Il mondo sghembo di Nadia sembra essersi ricomposto. Stesso discorso per Alan, il ragazzo dalle inclinazioni suicide intrappolato con lei nella misteriosa bolla, che vediamo, all’alba della nuova stagione, barcamenarsi tra un appuntamento e l’altro nella speranza di incontrare l’anima gemella e lenire così le ansie della madre. L’incantesimo è finalmente spezzato? Sono liberi? Almeno all’inizio, la vita di entrambi scorre “normalmente”.

Nadia sta per compiere quarant’anni. Cruda, perspicace, intelligente, sfrontata e allergica alle mediazioni, la rossa Nadia non è affatto cambiata. Almeno per metà ebrea, Nadia scherma la sua precarietà sentimentale ed esistenziale con il tipico, graffiante umorismo di derivazione yiddish. E laddove non bastano le parole, e nemmeno il turpiloquio, entrano in scena gli atteggiamenti teatrali, la camminata e la gestualità alla Tenente Colombo (l’ebreo Peter Falk, evocato da Nadia a motivo di ispirazione della sua indagine in territorio ungherese), gli occhi spalancati a voler fulminare l’ottusità altrui e la perenne sigaretta in bocca.

Nel suo mondo di padri e, più in generale, maschi assenti, a parte l’amico per caso Alan e il gatto Oatmeal, trovano posto solo figure femminili, l’amica Maxine, prototipo dell’hipsterismo newyorchese e l’adorata madre adottiva Ruth. Come sempre, Ruth è per Nadia esempio di lealtà, un bene raro, e oracolo di saggezza (“l’immortalità è la più grande illusione della giovinezza”). L’ombra più densa, però, è rappresentata dal ricordo della madre biologica, Lenora, morta suicida a 35 anni a conclusione di un’esistenza sballata, segnata dalla schizofrenia. In questa stagione compare anche Vera, la nonna sfuggita all’Olocausto. Con lei, Nadia parla perfino in ungherese. Già, ma Vera nel 2022 è morta. E allora?

Non avrebbe avuto senso riproporre il meccanismo narrativo della prima stagione. Natasha Lyonne, perno assoluto di Russian Doll in qualità di autrice, regista e attrice principale, imbocca una strada banale e coraggiosa. Banale: il viaggio nel tempo è un (fin troppo) abusato strumento estratto dal repertorio del fantastico. Coraggiosa: il duplice salto all’indietro, nella sporca New York nel 1982, e poi ancora più lontano, nella Budapest nel 1944 occupata dai Nazisti, ha un valore metaforico. Storie e identità personali, come matrioske, si sovrappongono. L’uno è molteplice ed è illusorio pensare di essere totalmente altro da chi ci ha generato e preceduto.

La metropolitana può giocare brutti scherzi. Strani indizi attirano Nadia. Come mai le pubblicità appese nel vagone sono così retrò? Perché le notizie riportano i fatti di un giorno di marzo di quarant’anni prima? E i vestiti vintage? E che dire del disordine nella stazione e dei Guardian Angels dal basco rosso? Sembra la New York non ancora emendata dalla “tolleranza zero” del sindaco sceriffo Rudolph Giuliani e in effetti lo è. Sorpresa! La metropolitana è un portale temporale. Fuori, un uomo distribuisce volantini contro la proliferazione di armi nucleari, procurandoci uno shock cognitivo: i rischi del 1982 sono gli stessi di oggi (ma questo Natasha Lyonne non poteva prevederlo, avendo girato i sette episodi nel 2021).

Ad un bar di quarta categoria, che la gentrificazione del ventunesimo secolo spazzerà via, Nadia incontra un certo Chezare Carrera, detto “Chez”. Lui, con ogni evidenza un truffatore con il chiodo fisso delle donne, la rimorchia, o così crede lei. Insieme fanno incursione nella casa di Vera, sua nonna. Da un prevedibile nascondiglio rubano una valigia piena di Krugerrand sonanti, un bene rifugio. Centocinquanta Krugerrand d’oro meno uno, quello che Nadia porta appeso al collo. In bagno, un luogo centrale in Russian Doll, l’immagine riflessa svela un’assurda verità. Nadia si è incarnata nel corpo della madre. Lei è Nora e Chez vede Nora. Le sigarette al mentolo che fuma appartengono all’orrenda marca anni Ottanta amata da Nora. L’idioma magiaro, che riesce a padroneggiare con sua somma meraviglia, è quello appreso dalla madre, cioè dalla nonna, insomma, da Vera… Che inenarrabile casino. A peggiorare la situazione, Nora è al nono mese di gravidanza. I calcoli sono presto fatti. Nora è incinta di lei.

La ricerca dei Krugerrand smarriti è un pretesto per affrontare il tema dell’eredità, intesa in senso tanto culturale quanto biologico. Certo, con quel tesoro a disposizione la vita di Nora, e poi di Nadia, sarebbe stata diversa. Chez parla di Coney Island, un modo di dire familiare per indicare un avvenimento che, se accaduto o non accaduto, avrebbe potuto modificare in positivo il futuro. Tuttavia, al termine del suo viaggio, Nadia apprende la dura lezione del tempo. Il tentativo di preservare la ricchezza dagli inganni delle sliding doors disseminate sul proprio cammino è fallimentare. Gli eventi ci spingono in una sola direzione.

Nella prima stagione avevano prevalso gli interni newyorchesi. L’appartamento alla moda dove si svolge la festa di compleanno di Nadia, un’ex scuola rabbinica convertita a uso residenziale, nella nuova stagione ricompare, ma è solo un’ambientazione tra molte altre, l’ultima della sfilata. Tutto è doppio, due New York, due Budapest e due Berlino (nel senso di Est e Ovest). “I Peschauer erano degli intellettuali”. Intellettuali ebrei ashkenaziti sterminati ad Auschwitz. La ricostruzione della capitale ungherese durante l’occupazione tedesca è convincente. L’ironia non manca. Se il treno che arriva in stazione, nella Budapest del 1944 infestata dalle SS, ha le insegne della metropolitana di New York, in una successiva scena un giovane nazistoide del 2022, con un cagnaccio d’assalto al seguito, dice una parola di troppo a una giovane madre dalle fattezze non esattamente “ariane”.

Nell’episodio di Budapest formato 1944, con un’indomita Nadia impegnata nelle sue indagini a cavallo dei decenni, vi è una scena che risalta sul piano emotivo. Un soldato invita Vera, ovvero Nadia incarnatasi stavolta nella nonna, allora giovane, a visitare il deposito nel quale sono accatastati i beni razziati agli ebrei, compresi quelli dei Peschauer. “Andiamo a fare shopping natalizio”, replica Vera / Nadia al soldato. È uno dei tanti esempi di umorismo nero, talvolta nerissimo, che impreziosiscono il tessuto di dialoghi di Russian Doll. Battute come “vado a festeggiare il compleanno dove è morto tutto il mio popolo”, sebbene ampiamente sdoganate dal genio di Woody Allen, non sono così comuni nella serialità televisiva. Il pregio di Natasha Lyonne sta nel dirle e nel sapere di poter dirle. L’abrasivo repertorio dialettico di Nadia è un distillato delle esperienze di vita di Natasha, anche molto difficili. Poche serie sono liberatorie, nella più squisita accezione terapeutica del termine, come Russian Doll.

Dalla seconda metà della stagione in avanti Alan, interpretato da Alan Zaveri (Arrow, Ordinary Joe), è promosso a coprotagonista della strana storia. Nadia rivela ad Alan il segreto della metropolitana, una grande idea o forse no. Anche Alan diventa un pendolare spazio-temporale, destinazione il corpo di sua nonna Agnes, studentessa ghanese nella Berlino Est del 1962, scoprendosi attratto/a da un ragazzo che lo/la coinvolge, a sua insaputa, in un piano di fuga, direzione Ovest. Il personaggio, con gli spunti che lascerebbero presagire una spy story intrigante, è qui un po’ sacrificato, anche a causa dell’immediato precipitare degli eventi. Nadia, frustrata dagli insuccessi, prova la mossa disperata di… rapire se stessa.

Il finale è caotico e, almeno a tratti, gestito maldestramente. Nadia torna nel 2022, richiamata dalle amiche al capezzale di una Ruth in fin di vita. Negli anni Ottanta, piccolo problema, il cellulare ancora non c’è, internet nemmeno (“questo world wide web sembra mostruoso”, inorridisce il capo dei Guardian Angels) e Nadia legge i messaggi in ritardo. Variazione sul tema: Nadia non torna da sola. Con sé ha… la bambina che lei stessa fu, partorita da Nora su una banchina della Subway. In ospedale trova Ruth ammaccata sì ma non moribonda. Davvero curioso. È la stessa situazione di una settimana prima! Il tempo, lo sappiamo da almeno un secolo, non è una variabile indipendente e Natasha Lyonne fa di tutto per ricordarcelo. Non mancano riferimenti diretti all’entropia e citazioni dell’esperimento mentale di Schrödinger (d’altronde Nadia condivide il suo appartamento con un gatto, il fulvo Oatmeal).

Trasformare i paradossi della fisica in qualcosa di comprensibile sul piano narrativo, però, non è affatto semplice. Le duplicazioni di Ruth, di Nadia, di Alan, questi ultimi, memento mori, anche in versione stesi-su-una-barella-da-obitorio, complicano una linea narrativa già aggrovigliata, con il rischio di fare confusione. Poco male. La restituzione della bambina a Nora, dopo l’attraversamento del Vuoto cosmico dimenticato sotto la città, chiude il cerchio e consegna i due protagonisti, Nadia e Alan, al presente. Inno al fatalismo? Circolo vizioso? No, al contrario. Russian Doll, serie comedy arguta e colta (aggettivi non associabili a troppe opere in circolazione), ci lancia una boa di salvataggio: la libertà è conoscenza. “Se potessi scegliere tua madre, mi sceglieresti di nuovo?”, chiede Vera a sua figlia Nora. Domanda retorica, considerate le vane pretese del libero arbitrio.

Il resto del cast, molto al femminile, brilla per stile. Merito di attrici di talento, brave nell’impersonare donne dalla decisa impronta caratteriale e moralmente connotate, ora da follia, ora da docilità, ora da perseveranza. Chloë Sevigny (Boys Don’t Cry, Dogville, American Horror Story) è Nora, Annie Murphy (Schitt’s Creek, Kevin Can F**k Himself) interpreta Ruth trentenne, mentre la veterana Elizabeth Ashley ritorna nei panni di Ruth anziana. Russian Doll aperta da Personal Jesus dei Depeche Mode e accompagnata in chiusura da Shine on You Crazy Diamond dei Pink Floyd, due hit immortali, è inscindibile dalla sua architettura sonora.

Sospesa in un clima surreale, comicamente incline al paranormale, la serie ha saputo rinnovarsi mantenendosi salda ai presupposti di fondo. Il pregio della messa in scena di Russian Doll sta anche nei dettagli, negli indizi, nei segni da decodificare. Nel settimo episodio, una Nadia adolescente legge in metropolitana Demian di Hermann Hesse, un romanzo che inizia così: “Per raccontare la mia storia devo incominciare dal lontano inizio. Se mi fosse possibile, dovrei risalire molto più addietro, fino ai primissimi anni della mia infanzia, e più oltre ancora nelle lontananze della mia origine”. E prosegue, più avanti, “ognuno di noi è il punto unico, particolarissimo, in ogni caso importante, curioso, dove i fenomeni del mondo s’incrociano una volta sola, senza ripetizione”. Senza ripetizione. Perché Bela Lugosi è morto e sepolto. O forse no.

Titolo originale: Russian Doll – Season 2
Numero di episodi: 7
Durata: 30 minuti l’uno
Distribuzione: Netflix
Uscita: 20 aprile 2022
Genere: Comedy, Drama, Mistery

Consigliato a chi: si affida ai sogni lucidi, ha informazioni attendibili sul futuro, sa come scucinare un pollo (con la s, non è un refuso).

Sconsigliato a chi: è allergico agli insetti, ha nostalgia dei pantaloncini stretti, non ha mai rubato un elenco telefonico.

Visioni e letture parallele:

  • Un film di formazione, non retorico, sulla maternità: Sole di Carlo Sironi (2019), disponibile sulla piattaforma MUBI;
  • Una voce irriverente della letteratura americana: Jane Bowles, Piaceri semplici, Racconti Editore (2022).

Una domanda senza risposta: dove vanno le oche di Central Park quando il laghetto gela in inverno?

La “colpa” secondo Nadia: uno spreco di energia.

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